c L'uomo e la societè


Per sua naturale necessità l’uomo vive in comunità. Da questa convivenza, abbiamo detto, deriva la formazione della sua personalità. Egli è un’unità psicofisica: rispettando i suoi simili rispetta se stesso.


Fra gli uomini esiste collaborazione nelle azioni congiunte, parallele o subalterne che dovrebbero essere sempre rispettose dell’altrui dignità. Da ciò scaturisce una politica d’organizzazione sociale che dovrebbe permettere ad ognuno di manifestare liberamente tutte le proprie capacità.


Non si dovrebbe compiere mai l’errore di pensare ad un’eguaglianza sociale come livellamento umano: un individuo è uguale all’altro inquanto “uomo”, ma possiede caratteristiche somatiche e psichiche singolari. La personalità di ciascuno, si è già detto, è unica e irripetibile perché vive una realtà propria.


Ognuno nel lavoro e negli affetti, dà ciò di cui è capace con risultati ben differenti. Non possiamo fare l’errore di pianificare la personalità della “massa”, bisogna che ciascuno abbia la possibilità di realizzarsi, di dare ciò che può, di avere ciò che è capace di voler ottenere, di essere soddisfatto del proprio agire.


Prioritario deve essere sempre il rispetto per chi si muove accanto a noi. Mai i vantaggi per alcuni siano di danno ad altri. I datori di lavoro sia privato che pubblico, devono mettere il dipendente in condizione di ottenere un giusto guadagno dalle sue prestazioni, adeguate alle sue capacità lavorative, ma comunque, sempre i minimi salariali dovrebbero rispecchiare il reale costo di una vita dignitosa.


L’unica uguaglianza, che dovrebbe essere assolutamente rispettata, è il diritto ad una vita serena in una società che faciliti le soddisfazioni materiali dell’intera comunità.


La coppia uomo-donna è l’elemento essenziale della vita sociale oltre a rappresentare la naturale realizzazione di “coppia” umana. L’uno non dovrebbe dominare l’altro e di questi non dovrebbe servirsi per soddisfare le proprie esigenze secondo ruoli prestabiliti, ma ambedue sono comprimari nel servire la vita assecondandone gli stimoli.


Spesse volte le frustrazioni, le insofferenze, i fallimenti sono sfogati dall’uomo sulla pelle della donna, raramente accade il contrario, perché così il maschio soddisfa il bisogno di predominio che è nella sua natura, anche allo stato inconscio. A sua volta, la donna, uscita dalle mura di casa per affrontare il mondo della cultura e del lavoro, viene meno al suo atavico ruolo di mera allevatrice della prole e assapora la libertà dal pesante giogo domestico.  Sovente insegue solo un’illusione. La donna “liberata” non sa più affrontare i sacrifici, le incomprensioni, le piccole divergenze caratteriali, la fatica di seguire i propri bimbi e così si ribella illudendosi di poter affrontare una situazione più appagante, ma…


Sia quella maschile che quella femminile sono intolleranze dettate da un falso concetto di vita agevolato dalla nostra attuale società. Ognuno ha la possibilità di realizzare se stesso cogliendo le opportunità positive che la realtà del momento gli presenta.


Nessuno può sostituire veramente la madre nella crescita dei propri figli; questo è il compito primo della donna che sceglie di crearsi una famiglia. Si dovrebbe però diffondere la possibilità per la donna di riprendere, se vuole, il suo posto nella comunità di lavoro o di cultura quando i figli, ormai cresciuti, possono affrontare il mondo da soli e autogestire la loro vita.


L’unico legame dei figli alla famiglia di origine dovrebbe essere quello dell’affetto e della riconoscenza per poi incamminarsi nella vita carichi del beneficio dell’educazione ricevuta che li avrebbe dovuti dotare di un buon bagaglio culturale, morale e, per i più fortunati, religioso.


In quest’ottica, la vita potrà offrire ad ognuno tutto

ciò che crederà di poter ottenere.





Nessuno ha il diritto di usare il suo simile per un vantaggio personale.



Nada Reale