Giù il sipario


Il sipario era calato sul palcoscenico delle elezioni. Il pubblico aveva lasciato il teatro in fretta. Gli attori, struccati i volti, se ne stavano andando via. I tecnici espletavano le ultime formalità, ma molto presto, anche loro, avrebbero abbandonato il palco sul quale si erano avvicendati attori e comparse per recitare la politica milanese con uno spettacolo ormai logoro. Fra le tavole del palcoscenico qualche attore-politico aveva perso un foglietto d’appunti, una forcina, un biglietto da visita, un pettine: cose di poco conto raccattate dall’uomo delle pulizie che aveva anche il compito di accertarsi che nessuno indugiasse nei camerini. Bisognava chiudere.

L’eco degli applausi, pochi a dire il vero, e dei fischi, tanti e a scena aperta, si era spento. Tutti se n’erano andati ormai stanchi di uno spettacolo che aveva promesso qualche cosa di nuovo, interessante e credibile e che, invece, si ripeteva soltanto con assurda monotonia Colpa della regia? Forse, ma non si può parlare di una vera e propria regia in un contesto teatrale in cui il pubblico e gli attori dovrebbero essere indotti allo scambio delle parti. Nella commedia dell’arte politica è l’improvvisazione, è il non saper cogliere l’incitamento degli spettatori che fa dell’attore un istrione.

In quest’ultimo spettacolo, poi, sembrava che nessuno avesse tenuto conto della presenza del pubblico: motti e ripicche erano tutti rivolti agli stessi protagonisti, quasi che gli attori e le comparse fossero preoccupati solo di loro stessi lanciando lazzi e frizzi che nascondevano intenti misteriosi Per questo il pubblico non aveva capito lo spettacolo e molti avevano lasciato il teatro anzitempo.

Gli ultimi, i più volenterosi di capire, avevano resistito fino alla fine uscendo fra mormorii di scontento: delusi per un biglietto pagato inutilmente.

Lo spettatore insoddisfatto viene riconquistato con fatica da una compagnia di teatranti che ha fatto “fiasco”.

Gli attori, ritornati alle loro case, sono stati rincuorati dalle pietose e false parole degli amici. Le comparse, paghe di ciò che avevano ricevuto in denaro per la loro apparizione, erano le uniche che avrebbero dormito sonni tranquilli: sapevano che la scena dello spettacolo politico avrebbe sempre avuto bisogno di loro.

L’ultimo a lasciare il teatro era stato un giovane attore debuttante.

Si era preparato coscienziosamente all’interpretazione della sua parte: possedeva le capacità artistiche necessarie e i colleghi, già grandi navigatori politici, gli avevano promesso aiuto sulla scena. Invece era stato lasciato solo fra quel vorticoso susseguirsi di parole in cui non era riuscito a trovare spazio. Travolto e confuso si era smarrito, deluso per non aver potuto esibirsi.

- Bravo, buona recitazione la tua!- Avevano detto i colleghi all’uscita dandogli la solita pacca sulla spalla. Ipocriti, non si erano neppure accorti di avergli rubato la scena con tutte le battute. Eppure, quella che si era appena conclusa non era una semplice “commedia”, era un’opera teatrale fondamentale per la vita di un popolo perché il pubblico deve potervi partecipare ogni volta con la certezza d’essere lui stesso protagonista, regista e spettatore.

Più umiltà negli attori? Certo, lì, davanti a loro, non c’è l’inerte spettatore di un testo teatrale di fantasia, ma il pubblico vuol vedere se stesso rappresentato nel suo futuro di uomo e cittadino.


Nada Reale