Tonin
Grosse nubi si addensavano sopra la valle illuminata dagli ultimi raggi di un pallido sole che andava calando dietro le vette già innevate.
La luce del giorno si spegneva mentre una nuova vita stava per sbocciare in quel piccolo borgo dell’alta Valpelline. Era un nucleo di vecchie case, come i tanti sparsi sulle balze del Plan del Veyne, dominati dalla Becca di Luseney e il monte Morion.
“ Via, Tonin, passami il calderone. – disse Amina agitata – sta per nascere. “
“ Soffre molto?“ chiese l’uomo seduto accanto al fuoco del camino con una voce che tradiva tutta la sua ansia. Era ancor giovane sebbene il viso rugoso fosse già segnato da una vita faticosa. Fumava una pipa dal lungo bocchino ricurvo.
“ No, non troppo, per ora. Non ti preoccupare, andrà tutto bene: ne ho aiutati tanti a nascere…anche te. Nascere è naturale e la Natura farà il suo dovere. “
La donna, curva sotto un grande scialle nero rattoppato in più punti, tentò di togliere il calderone dalla catena alla quale era appeso sopra il fuoco del camino. Le sue mani nodose erano ancora forti.
“ Lascia fare a me, sei vecchia Amina non devi fare eccessivi sforzi. Lascia fare a me via, fammi strada “ E l’uomo portò l’acqua fumante nella stanza accanto: era un ambiente fuligginoso e disadorno quanto il primo.
“ Tonin… “ Sussurrò la giovane donna che nel gran letto di ferro si agitava in preda alle doglie.
“ Su, coraggio, sarà un maschio, un bel bambino forte e sano, vedrai… e poi sia quel che deve essere: maschio o femmina importante è che nasca in fretta e che tu stia bene. Se stai calma è meglio, tutti i bambini nascono così… “ Sorrise e si chinò a baciare sulla fronte la sua donna con una delicatezza inaspettata.
Il sorriso di Tonin si trasformò a poco, a poco in una grossa risata.
“ Perché ridi? “ chiese Veronica
“ Mi è venuto in mente che anche tu ed io siamo stati neonati e…anche l’Amina. Te la vedi la faccia di Amina tutta rosa e paffuta in una cuffietta di merletti bianchi, eh, te la vedi? “
“ Non so proprio che cosa ci sia di buffo… Certo che non sono nata vecchia e curva…“ Amina non capiva perché lui ridesse di una simile idea.
A lei il ripensare alla sua infanzia non faceva certo ridere, anzi.
Dei tempi in cui conservava memoria non aveva ricordi gioiosi: aveva persi entrambi i genitori, travolti da una slavina, quando lei era ancora molto piccola. Ricordava il pianto dei parenti che le stavano intorno: donne avvolte in grandi scialli neri con i visi impietriti dal dolore. Avrebbe voluto sentire il calore di un abbraccio, sentirsi protetta, ma non era così.
La gente della montagna è, generalmente, parca d’effusioni, è forgiata dal vento e dal freddo come le rocce: a tagli netti.
I ricordi si accavallavano e si confondevano. Rivedeva se stessa fra le Suore di un povero collegio: lavoro e preghiera…e lei così piccina…
Finalmente a quattordici anni fu accolta in quella stessa casa in cui si trovava ora, dallo zio Luisin, nonno di Tonin.
Era una ragazzina molto timida, la naturale insicurezza dell’età era aggravata dal sentirsi accolta da quei parenti solo per pietà.
In quella casa il suo aiuto era stato prezioso: zia Lucia, moglie di Luisin, aveva tre bambini piccoli da crescere, nati dopo diversi anni dal primogenito Joele, papà di Tonin.
Il ricordo di Joele riaffiorò dolorosamente: era stato il suo irraggiungibile sogno d’amore e, pur con una cocente delusione nel cuore, non lasciò mai quella famiglia e fece da madre a Tonin rimasto orfano.
Improvvisamente sparirono lunghi anni, cancellati da un soffio di vento. Lo stesso vento che le scompigliò i capelli là fuori, quando, ragazzina, zappando il campo di patate udì Maria gridare:
“ - Mamma, c’è Joele “ – aveva visto il fratello che risaliva il sentiero basso.
Lucia lasciò cadere il secchio del latte, che stava portando nella stalla per mungere l’unica vacca, e corse incontro a quel suo ragazzo che, nella divisa d’Alpino sembrava ancora più bello.
- Mamma…-
- Sei qui…finalmente –
Madre e figlio si strinsero in un abbraccio composto.
Il bel cugino piacque ad Amina. Sognatrice, bisognosa d’affetto, possessiva come solo lo è chi nulla possiede, la ragazza accese la sua fantasia costruendosi un bellissimo sogno.
Era magretta e informe, come lo può essere una quattordicenne fisicamente immatura, ma i suoi occhi erano molto loquaci e Joele stette al gioco scambiando frecciatine, allusioni, occhiate e simpatia.
La licenza durò pochi giorni e il giovane Alpino dovette ripartire. In un’alba fredda e piovosa Joele ridiscese il sentiero lasciando tutti con il cuore in pianto.
“Dio, proteggilo, fai che torni…” Mormorava Lucia sommessamente accompagnando con lo sguardo quel suo figliolo che spariva nel bosco per riapparire più giù sempre più piccolo e lontano.
La Guerra vide molti ragazzi combattere e morire, ma Joele tornò a casa. Era divenuto più forte, più uomo, le atrocità viste e le esperienze vissute, però, non erano riuscite a smorzare l’entusiasmo e il desiderio di vivere che è proprio della gioventù.
Quando si vide dinanzi la giovane cugina non la riconobbe. In quei due anni della sua assenza si era trasformata in una bella ragazza dalle curve procaci. Amina era veramente una giovane donna attraente e, quel che più contava, disponibile per quell’illusione che era andata ingigantendo nel suo romantico immaginare.
Accadde una sera di un Agosto piovoso in cui le nubi non avevano quasi mai lasciato completamente sgombro il cielo sopra la valle. Quella sera, invece, c’era un’eccezionale limpidezza, le stelle erano più brillanti che mai e tanto vicine. La luna rischiarava i fianchi della montagna e i sentieri biancheggiavano snodandosi giù per i pendii, entrando e uscendo sinuosi dalle pinete.
“ Sei bella, Amina, sei più bella di tutte le altre, sei bianca e vellutata come una fata…” diceva Joele mentre le accarezzava il volto e i neri capelli lunghi sciolti sulle spalle.
Amina ascoltava in silenzio quella voce che le penetrava nell’anima ripetendo parole che lei aveva tanto sperato di sentire pronunciare.
Con gli occhi persi in quelli di lui si lasciava andare sotto la dolcezza di quello sguardo e delle carezze incredibilmente lievi.
Tutti, in casa, si accorsero di quanto stava accadendo ai due giovani. Papà Luisin non approvava. Joele era stato promesso alla figlia di Battista: era una ragazza forte, sana e, quel che più contava, portava in dote un ottimo pascolo.
Toccò a mamma Lucia chiarire le cose:
“ Amina, tu sei come una figlia per me e ti parlo come ti parlerebbe tua madre” le disse con grande tristezza una sera che si ritrovarono sole davanti alla brace del camino che andava spegnendosi “Joele non è per te, tu se troppo giovane ancora, non pensare a lui…non ha neppure molto da offrirti…non illuderti…”
“- Io…io…”-
“- Si, lo so, tu gli vuoi bene, ma è solo un’infatuazione. Verrà anche per te l’uomo giusto, vedrai, ma Joele no, è tuo cugino e poi…poi è già impegnato con l’Adele del Battista. Deve sposare lei e tu non farti prendere in giro. Gli uomini si divertono e poi sposano chi fa loro più comodo…E’ dura, figlia mia, ma è così, credimi.” Lucia parlava con in cuore una gran pena materna ed ostentava più durezza di quanta provasse: anche lei aveva avuto le sue dolorose esperienze giovanili.
Strinse a sé le mani della ragazza che, abbandonate in grembo, tormentavano un fazzoletto.
“ Le pene – continuò la donna – le ansie e le illusioni svaniscono nel crogiolo della realtà che non sempre è amara e triste e insoddisfacente. La vita è da vivere e deve essere vissuta fino in fondo confidando solo nell’aiuto Divino. Bisogna guardare avanti a sé con ottimismo, figlia mia…ve…”
“ No, non può essere vero…Joele è…” Con la voce rotta dai singhiozzi Amina liberò le sue mani da quelle di lei e uscì correndo verso il bosco.
Mamma Lucia ora piangeva.
“ Perché, perché non può essere – si chiedeva la ragazza con angoscia – lui mi vuole bene, me l’ha detto più volte…ma me lo ha detto?… Si, certo, me lo ha fatto capire, sì, sì, più di una volta…e il suo sguardo dolce …c’era amore nei suoi occhi…Mamma…papà…come vi vorrei ora qui vicini a me…Che devo fare? Come posso pensare che lui non mi voglia bene?”
Singhiozzava disperata perché aveva la disarmante percezione di chiara impotenza.
Il suo cuore era in tumulto, la sua anima era angosciata: doveva rinunciare a colui che le aveva procurato la gioia d’essere anche lei una creatura che apparteneva a qualcuno e che questi apparteneva a lei.
Credeva di avere trovato finalmente un approdo alle sue incertezze ed ora quel rifugio le veniva tolto. Era di nuovo in balia degli eventi, di nuovo sola di fronte alla vita. Un altro uomo? Come si può pensare ad un altro quando il primo è un secondo se stessi? Non ci sarebbe più stato un altro amore, lei era troppo sola per pensare di riempire un vuoto in modo esclusivamente utilitaristico.
“ Amina, vieni, la mamma ti vuole.” La piccola Maria la guardò stupita. Non l’aveva mai vista piangere.
“ Sì, vengo…Ma tu non dormivi già?” Cercò di ricomporsi asciugandosi gli occhi.
“ Che hai, stai male?” Chiese la bimba.
“ No, no…è niente.” Tese le braccia, afferrò la piccina e se la strinse al petto. Anche la bimba si strinse a lei e la baciò sulla guancia. Amina riprese a singhiozzare, ma ora era un pianto liberatorio.
I lamenti di Veronica distolsero Amina dai ricordi.
“ Tu adesso vai di là, lasciaci sole. Ti chiamerò se avrò bisogno di te.”- La vecchia spinse fuori dalla stanza Tonin e accostò l’uscio.
Nella penombra della gran cucina si sentivano solo il crepitare del fuoco nel camino e i lamenti della giovane sposa.
Tonin prese la sua pipa, sistemò il fuoco e si sedette sulla panca lì accanto.
Pensava con orgoglio che suo figlio apriva gli occhi sotto le vecchie travi di questa casa che il suo bisnonno aveva costruito allora, giovane sposo, e questa nascita rappresentava la continuazione della sua stirpe, i Giottaz.
Il fuoco danzava scoppiettante la danza della vita tentando, inutilmente, di rallegrare un’attesa estenuantemente ansiosa.
Una creatura, alla sua nascita, può portare con sé anche la morte: odiata vecchia che miete vite, con la bianca falce, lungo il suo cammino senza rispetto alcuno per chi le sopravvive e resta a piangere.
Il cuore di Tonin alternava palpiti di gioia a paurosi presagi. La consapevolezza dell’impotenza umana di fronte alla Natura, così cruda come à vissuta da un montanaro, non era causa di scontentezza: egli accettava tutto il bene e tutto il male di questa sua vita faticosa, ma senza inganni; guardava, anzi, con una sorta di pietà i villeggianti estivi che, nei brevi periodi di soggiorno, si riversavano sulla sua montagna con l’avidità dell’affamato che si getta sopra un piatto d’avanzi.
“ Tonin, vieni, per l’amor di Dio, sta male… è svenuta…” Amina irruppe in cucina quasi gridando. Era in preda ad una forte agitazione. I capelli grigi erano scarmigliati e appiccicati al volto sudato: sembrava una strega delle vecchie fiabe.
Veronica giaceva priva di sensi con sul volto il pallore della morte, il polso non aveva che piccoli battiti sempre più deboli. Il bimbo stava nascendo.
Tonin aiutò Amina a togliere quell’esserino dalla sua situazione. Come? No, non avrebbe mai saputo dire come: faceva gesti dettati dalla necessità di fare presto in preda all’angoscia, e presto fu fatto.
Era maschio, un bel bambino minuto, un po’ cianotico, ma respirava.
Amina tagliò il cordone ombelicale, dedicò al piccolo le prime cure urgenti mentre Tonin cercava di rianimare la moglie che non dava sufficienti segni di ripresa.
“ Presto, Amina chiama qualcuno, telefona…”disse gridando e Amina telefonò al Medico Condotto e poi corse fuori a bussare alle case più vicine.
Vennero delle donne. C’era confusione ora in quella stanza, anche se le sopraggiunte si affaccendavano il più silenziosamente possibile per il tacito rispetto alla drammaticità del momento. Si udiva anche il mormorio di qualche preghiera.
Tonin era impietrito. Le nuove venute lo allontanarono dal letto e, rincantucciatosi in disparte teneva il viso fra le mani come per trattenere tutto il dolore che pareva volesse esplodere dentro di lui.
“ Mio Dio, non ci abbandonare… non portarmela via…la amo tanto… fai che viva per il bimbo che è innocente e non merita il grande dolore di crescere senza madre, per me, e per lei stessa che ha sempre vissuto nel timore del Tuo Giudizio…” Stava ripiegato su se stesso, chiuso nella disperazione della sua impotenza e una rabbia, incontrollabile, gli cresceva dentro. “ Ma che Dio sei se giochi con il nostro destino in modo tanto crudele? Tu premi e castighi secondo quali meriti e quali demeriti?”- Teneva i pugni chiusi e guardava in alto a cercare Dio fra quelle nere travi del soffitto. Scrutava nelle spaccature dove i ragni trovano rifugio a capo delle loro tele e fra i grossi ganci a cui si appendono i salami fatti con le carni dei maiali appena macellati.
La sua era un’imprecazione feroce, sfidava il suo Creatore con la consapevolezza di essere un uomo giusto e degno di una vita gioiosa. La Fede in questo Dio che ora appariva crudele, non era mai vacillata, e neppure in quel momento dubitava del suo esistere: chiamava solo il Supremo a rendere conto a lui, sua piccola creatura, del perché della vita e della morte.
Improvvisamente, Tonin sentì dentro di sé un altro se stesso che gli rispondeva: - “ Dio non può trasformare un processo materiale agendo dall’esterno, così come non può fermare la volontà dell’uomo con un intervento diretto. Se così facesse violerebbe le regole inderogabili che governano il Creato. Egli ha dotato l’uomo di libero arbitrio perché fosse l’unico responsabile del proprio agire e la Natura di uno stato d’essere in cui il processo di trasformazione è tale che solo l’intervento di fattori chimici e fisici, già esistenti nella Natura stessa, possono modificarne le reazioni.
Così accadono le atrocità e le guerre, si diffondono le malattie. Il comporsi e lo scomporsi della materia. sia in evoluzione che in degenerazione, seguono precisi processi.
Dio non castiga gli uomini con le avversità, ma li premia sempre con il suo amore.“
“ Che mi succede? si chiese Tonin guardando attorno. La voce che aveva sentito non era materialmente un suono, era come se nella sua mente le parole venissero dettate da impulsi, una sorta di voce impropria a lui estranea.
“ Si, Dio ama i suoi figli – sentì ancora –li ama a tal punto da lasciarli assolutamente liberi, ma mai soli. La Sua mano conduttrice tiene stretta quella di tutti coloro che sanno ascoltare, come te in questo momento. Egli suggerisce pensieri chiarificatori che danno giustificazione agli eventi e impulsi all’agire, basta saperlo ascoltare, saper porre se stessi nella Sua Luce annullando la materialità circostante.”
“ Io non capisco, sono confuso…è difficile. – disse Tonin a voce alta nella necessità di dare suono ai suoi pensieri,
“- No, occorre solo molta umiltà e Fede, bisogna, invocando Dio, ascoltare se stessi, i pensieri buoni e saggi che vengono formandosi nella mente come se dettati dall’esterno: non sono voci, ma idee ben chiare. Ogni essere, sappi, non è che un granello di sabbia nell’immenso che, unitamente agli altri granelli, si evolve nella complessità dell’insieme. Ogni vita, così, ha ragione d’esistere perché procede verso il Grande Tutto indipendentemente dalle singole situazioni e tutto ha un senso in Dio.-“
Tonin era sbigottito da questo strano dialogo con se stesso. La sua disperazione però si era placata, come se una mano gli avesse accarezzato dolcemente l’anima. “- La mia Veronica è giovane, è forte, ce la farà.” Disse ancora a voce alta come per confermare una strana certezza.
Nello stupore di ciò che gli stava accadendo, percepiva che la sua forza nella capacità di affrontare la vita, era centuplicata: si sentiva padrone del proprio destino, pronto ad affrontarne le avversità perché aveva trovato le voci profonde della sua anima con la sensazione meravigliosa di non essere solo.
“ - Si è ripresa, Tonin, vieni, si è ripresa. – “
Si chinò su di lei e prese fra le sue la piccola mano di Veronica: era fredda, bianca e quasi trasparente. Le grosse mani callose dell’uomo tremavano.
Un flebile lamento, un leggero movimento del capo, un dolce piccolo sorriso al suo uomo…
La vita aveva preso il sopravvento sulla vecchia Morte che se ne era andata a mietere altrove.
Nada Reale