Lucciole

l temporale imperversava fragoroso e violento su quell’angolo di mondo. Il chiarore breve dei lampi illuminava la piccola casa fra i castagni e le cime dei monti che la sovrastavano minacciosi.

Avvolta in un grande scialle Carola cercava di ravvivare la fiamma nel camino senza gran successo anche per via del vento contrario. Il fuoco debole e rossastro metteva in luce il bel viso della giovane donna incorniciato da corti riccioli biondi; sul volto, dai lineamenti regolari, gli occhi neri e profondi denunciavano tutta l’ansia di un’estenuante attesa.

_ Sono le otto e trenta, Pietro non torna ancora…- disse Carola quasi a trovare coraggio nel suono della propria voce. Lo scricchiolare degli infissi e i sibili lamentosi della Natura all’esterno le trasmettevano una paura vaga, nuova, un senso angosciante di vuoto. Anche il telefono era isolato, come spesso succedeva durante i grossi temporali.

_ Cosa gli sarà successo, perché tarda tanto? _ La sua pena cresceva col passare dei secondi. Le pareva di vedere la macchina schiantarsi contro la parete rocciosa alla Curva del Pino e Pietro che invocava inutilmente aiuto.

_ No, no, via quest’immagine… Forse si tratta solo di un guasto e, probabilmente, anche banale. Potrebbe aver bucato un pneumatico e con questi scrosci starà certo aspettando che cessi per poter uscire e sostituire la ruota. Almeno spiovesse…_ Ma il rumore dell’acqua sulle tegole del tetto era inesorabilmente picchiettante.


“ Cucù, cucù, cucù…” I nove striduli suoni dell’orologio tirolese appeso alla parete della stanza, sotto il travone centrale, risuonavano sinistri in quel gran soggiorno buio.

_ Stupida, stupida, perché sono qui? E’ colpa mia, l’ho voluta io questa casa fra i boschi per trascorrere il nostro tempo libero lontano dalla città._

Era piaciuta anche a Pietro quella casetta di pietra e legno; a lei ricordava la sua fanciullezza trascorsa con la nonna a Resenterio d’Albavilla, un, allora, piccolissimo agglomerato di cascine sulle prime pendici delle Prealpi brianzole.

Erano gli anni dolorosi della seconda guerra mondiale quando  dovettero sfollare dalla città soggetta a continui bombardamenti, ma lei, bambina, aveva goduto di quel contatto con la natura da risentirne una struggente nostalgia.

Ricordava le lunghe veglie, di un gelido inverno, al caldo nella stalla dove le donne lavoravano a maglia, facevano merletti al tombolo o cucivano e gli uomini, vecchi o giovanissimi, raccontavano di fatti di guerra e di vita e, loro bambini, stavano buoni ad ascoltare.

C’era un odore pungente e le mucche, ruminando, guardavano con i grandi occhi buoni, chi parlava come se seguissero i discorsi che si snodavano attorno a loro.

Rammentava gli interminabili Rosari mal biascicati in un latino incomprensibile, ma ricchi di una mistica atmosfera che, prevaricando il significato intrinseco delle parole, dava un senso alla Fede e alla Speranza. La gioia per la nascita dei vitellini che accarezzava senza paura. I giochi sull’aia e nei fienili al tempo della mietitura e della vendemmia. L’ochetta Bianchina che accompagnava con Adalgisa lungo il ruscello perché mangiasse l’erba acquatica.

E ancora, la raccolta delle castagne nei boschi, le merende al Buco del Piombo dove il mistero della grande grotta sollecitava la fervida fantasia. L’odore del legno che bruciava nel camino della casa di Renzo, e le fette di polenta abbrustolita e poi inzuppata nella ciotola col vino nuovo dal sapore aspro.

Soprattutto ricordava la presenza della sua nonna Augusta: una donna severa, giusta e saggia che sapeva trovare nella Preghiera a Dio tutta la forza di cui aveva bisogno


_ Pietro, - aveva chiesto un giorno Carola al marito – tu riesci a trovare il tempo per pensare al senso della nostra vita, a quello che accade in noi e attorno a noi?-

_ Figurati, non ho neppure il tempo di accorgermi che viviamo, lo sai, il mio lavoro mi assorbe completamente. Non vedi, guarda fuori, - nel dire ciò si avvicinò alla finestra del loro appartamento nel centro della città, e ne scostò le tendine. – Era inverno ed è già estate, verrà subito inverno senza che ce ne rendiamo conto. Le mie stagioni, mia cara sono caratterizzate dalle cambiali che scadono, dalle rate delle tasse, dal lavoro che consegnamo sempre in ritardo, e tutte le altre incombenze

_ A me pare che il progresso ci trascini lungo una china in cui rotolando vertiginosamente verso il domani, ricusiamo il presente.-

_ Scusa, Carola, ma è ben il progresso che evolve i popoli, di quale china stai parlando?-

_ Certo, materialmente si tratta di un progresso, ma del nostro spirito che ne è? –

_ Io non ti capisco, dove vuoi arrivare con questi discorsi? –

_ A dirti che sento la necessità di staccarmi dalla città. Mi piacerebbe trascorrere almeno il fine settimana in un luogo isolato, a contatto con la natura, per vivere il tempo a misura umana.-


Così avvenne che i due sposi si crearono quel loro angolo di mondo antico. Ora, però, Carola sentiva di maledire la sua “trovata” perché l’isolamento tanto bramato aveva mostrato i suoi aspetti negativi e, forse, drammatici.

- Non posso più aspettare, devo andare a vedere che cosa può essere accaduto.- disse parlando sempre a voce alta per infondersi coraggio. Con un gesto veloce della mano ripulì i vetri appannati della finestra all’altezza dei suoi occhi: fuori era terribilmente buio, il vento si era calmato.

Indossò stivali e impermeabile, sollevò il largo cappuccio impacciata dal crescente nervosismo. Ora era fuori, sul vialetto ghiaioso che conduceva alla strada; si faceva luce con la piccola pila tascabile.

Pioveva ancora, le grosse gocce d’acqua gelida le colpivano il volto, camminava con passo svelto. Quanta strada fece non lo avrebbe saputo dire quando, improvvisamente, vide una piccola luce che avanzava ondeggiando.

Sentì il suo cuore sobbalzare:  - E’ Pietro, - pensò, - oppure… perché è così buio…- Affrettò il passo, inciampò in un ramo spezzato, ma non si curò del dolore. Esisteva solo quella piccola luce che le veniva incontro danzando come una lucciola. Appariva e spariva ad ogni curva, divenendo sempre più grande

_ Carola…Carola…-

_ Pietro! – Non era una risposta urlata, ma un sospiro dell’anima affidato al vento perché lo portasse lontano, perché tutti sentissero quanto può essere grande una gioia.

Fece ancora una piccola corsa e le forti braccia di Pietro la strinsero a lui. Carola era tutta un tremito e piangeva.

_ Sapevo che saresti stata in pensiero per me, ma quel nostro macinino si è fermato proprio fuori il paese; ho cercato il Giorgione, ma senza successo…probabilmente…-

Pietro parlava, parlava, ma Carola non seguiva più il senso di ciò che diceva, ascoltava solo il suono di quella voce cara mentre le pareva di camminare sopra una nuvola in uno spazio senza tempo.


Tutto questo accadeva in un’epoca in cui non c’erano ancora i telefoni cellulari.  


Nada Reale