Veder le nubi sotto di noi


Il mese di Marzo si era presentato con tutte le variazioni capricciose di cui era capace: sole, vento, temporali improvvisi e ampie schiarite seguite da rannuvolamenti e scroscianti acquazzoni.

Graziella era inquieta, l’effetto instabile del tempo si ripercuoteva sul suo umore, per quel legame d’interdipendenza che esiste fra uomo e Natura, procurandole tristezza alternata a gioiosità, calma a nervosismi immotivati, ansie a tranquille e fiduciose attese.

Era una piccola donna di mezza età non bella con quel suo viso magrissimo in cui gli occhi erano perennemente sottolineati da profonde occhiaie.

La sua famiglia non le procurava certo la serenità di cui aveva bisogno:” Che cosa siamo noi cinque – pensava mentre si accingeva a riassettare la casa come faceva tutte le mattine – mio marito io e i ragazzi siamo solo un gruppo di persone che si ritrovano sotto lo stesso tetto per dormire, per mangiare dallo stesso tegame, subiamo le stesse pressioni esterne, ci sediamo l’uno accanto all’altro guardando la televisione, ma fra di noi, dentro di noi che cosa c’è veramente? Come siamo, quali pensieri hanno?"

"A me sembrava di conoscere bene questi miei figlioli, di sapere che cosa volessero…ma ciò è durato solo quanto la loro infanzia, ora mi sono sfuggiti… Non mi faccio nessuna illusione neppure per Luchino. Quello che è adesso, a nove anni, non lo sarà più fra breve tempo com'è accaduto per Mario. Anche Luciana… che delusione i  suoi sedici anni…”

Graziella era assorta da questi pensieri mentre raccoglieva qua e là in un disordine indescrivibile i resti del loro pernottamento. Compiva quasi meccanicamente quel rituale mattutino.

“- Due esseri s’incontrano, si amano, suggellano questa loro intesa davanti alla società con la benedizione di Dio e diventano “famiglia”- pensava Graziella - "Da loro nascono i figli e bisogna crescerli.

Padre e madre lavorano, procurano i mezzi economici per dare una posizione sociale a questa loro famiglia con un impegno che spesso mortifica la loro personalità."

"I figli crescono, studiano, lavorano e poi a loro volta saranno genitori di figli da crescere, mantenere ed educare. Questa è la moltiplicazione della specie, nulla di strano, è la regola fissa della vita di ogni  animale.

A me ciò non basta,  ci deve pur essere un altro significato.”

“Questa mia vita regolata dal ritmo delle esigenze degli altri, non può costarmi tanto lavoro, impegno e rinuncia personale.

Ho dato loro tutto l’amore di cui sono stata capace, credevo di capirli e di essere capita , ma, invece, è il nulla, la più assoluta estraneità.

Che cosa rappresento per i miei figli?

Se mi faccio un esame di coscienza quale fu il mio rapporto con mia madre? Sicuramente di maggior confidenza, sapevo che lei era lì ad assistermi in ogni eventuale necessità, mi sembra di ricordare che, sì, non le raccontavo tutto, ma mi sentivo legata a lei che… forse non ero neppur io capace di dimostrarglielo… lei avrà capito come mi sentivo protetta e appoggiata?


La mia forza nell'affrontare le inevitabili difficoltà dell'adolescenza mi veniva dal sapere che lei era lì, pronta ad ascoltarmi, a darmi certezze e speranze dettate dalla sua ferrea certezza che la nostra vita ha un senso preciso nel raggiungimento delle nostre aspettative. Non sempre si avvereranno, è vero, ma noi potremmo dire di averci provato.

Ai miei figli ho saputo trasmettere tutto ciò? Nutrono per me gli stessi sentimenti? Non so rispondermi…mi sento avvilita e tanto triste…tanto…”

“ Ecco qui il quaderno delle traduzioni dal greco di Mario, che sbadato quel ragazzo, aveva compito in classe stamani, gli sarebbe certamente servito…Luciana, che benedette ragazza, qui un nastrino, lì le calze…smagliate, là la giacca del pigiama. Poveri i suoi sedici anni! Ma la colpa è solo mia, sono sempre stata troppo indulgente e loro ne hanno approfittato. Io sono la serva…Bisogna cambiare sistema: sì, la musica cambia , figli miei, vi metto a posto io “-


Quest’ultima frase pronunciata a voce alta, quasi gridata verso gli assenti, dava concretezza ai suoi pensieri di dolorosa solitudine.

Lo squillo del campanello dell’ingresso la fece trasalire.

- Vengo.- urlò dal fondo del corridoio.

-        - Mamma, sono Mario – disse il ragazzo da fuori

Graziella aprì l’uscio: - Che fai qui a quest’ora? –

-C’era assemblea e sono stufo di sentire frignacce.-

-        - Assemblea anche oggi? E il compito?-

-        -Lo chiedi a me? –  buttò sullo sgabello i libri che aveva sul braccio con uno scatto d’ira ed esclamò: - Ca…! –

-        -Che significa questo?  Lo ripeto per l’ultima volta, bada bene, anche se sei maggiorenne grande e grosso, io sono tua madre, esigo il tuo rispetto.

-

Graziella urlava dando sfogo alla sua ira, alzandosi sulla punta dei piedi per essere più vicina al viso di quel suo figliolo parecchio più alto di lei.

- Ma non urlare, guardati allo specchio, - così dicendo Mario afferrò la madre per le spalle con forza e la spinse davanti alla specchiera.

L’immagine riflessa era buffa nella sua tragicità : Graziella vide una se stessa cianotica, con il grembiule storto che le sollevava un lembo del colletto della camicetta, gli occhi più sporgenti che mai, i capelli arruffati che le formavano una specie di cresta a sinistra : sembrava una pazza tanto era alterata dall’ira.

- Bella o brutta, sono tua madre. – Capì  che quest’ultima non era

stata un’uscita felice. – Insomma, - proseguì cercando di darsi un

contegno – Io devo essere sempre pronta a servirvi, ma voi,…tu, proprio tu, che fai per me?-

-   Oh , mamma, quanto rompi…- e sparì in camera sua


Gli occhi di Graziella si riempirono di lacrime, sentiva una gran rabbia esploderle dentro: strinse lo strofinaccio che aveva in mano

torcendolo fino a strapparlo.

Dalla camera di Mario, improvvisamente una musica assordante

invase la casa.

Graziella sentì i suoni bassi rintronare nel torace e nel ventre, la testa  sembrava che volesse esplodere, ebbe un capogiro e  gridò:   - Basta! – accasciandosi al suolo.

Quell’urlo fece accorrere Mario che la trovò riversa sul pavimento

con gli occhi sbarrati scossa da un tremito continuo . Il ragazzo si chinò su di lei, le sollevò il capo, cercò di rianimarla, ma non sapeva che fare.

_ Venga, la prego, - disse Mario alla signora Piera che dal pianerottolo aveva sentito l’urlo e aveva bussato alla porta molto premurosamente.

_ Spegni quel dannato giradischi- disse con tono di rimprovero.- Lei non capiva la necessità di fare tanto fracasso: ma come facevano a gustare la musica ad un volume così assordante?

_ Povera donna, bisogna chiamare subito il dottore…su, mettiamola sul letto…dai, telefona.-


Il dottore, fortunatamente, venne subito: - E’ una brutta crisi nervosa, non grave, ma seria. – disse dopo averla visitata. Le fece una iniezione e con Mario andò in sala per compilare la ricetta delle medicine di cui Graziella aveva bisogno.

- Mario, - disse il dottore – permettimi di dirti che con lei non ti comporti bene. Io conosco i tuoi genitori da prima che voi nasceste e, da ciò che mi confidano, mi pare proprio che tu e Luciana  la vostra mamma non l’aiutiate. Lei sta attraversando un brutto periodo, sta entrando in menopausa, sai che cosa vuol dire vero?  Ha bisogno di tranquillità e serenità, e, maggiormente, d'affetto premuroso. Le medicine, credimi, servono a ben poco. –

_ Io non capisco – disse il ragazzo molto sorpreso da ciò che il medico gli stava dicendo – di cosa può lamentarsi? In casa fa ciò che vuole: è lei che comanda. Mio padre le dà tutto lo stipendio che lei amministra senza rendere conto; non la tradisce, pensa solo al suo lavoro e a noi. Noi andiamo a scuola regolarmente e anche il nostro risultato è soddisfacente, siamo abbastanza ligi alle regole di casa, intendo il rispetto degli orari e altro…Di che cosa può lamentarsi? –

_ Ti sei mai chiesto quali interessi d’evasione ha la tua mamma?

Voi le manifestate tutto il vostro amore, la rendete partecipe della vostra vita con gli amici, dei vostri progetti? Fai un esame di coscienza, ormai sei un uomo e puoi capirmi. Ti sei mai chiesto com’è la vita dei tuoi genitori?-

Queste parole calarono su Mario come una mazzata. Che cosa significava tutto ciò?

"La mamma sapeva di essere amata. Lui non le chiedeva niente di più di ciò che lei gli dava spontaneamente. I lavori di casa? E’ lei che è una maniaca dell’ordine e della pulizia, perché non tralascia

e se ne va a spasso un po’ con le sue amiche? Perché non si è trovata un lavoro fuori casa come fanno tante altre? Le madri impegnate rompono meno e sono più comprensive e aperte; insomma, che cosa si vuole da me?” pensava il ragazzo.

Graziella si era ripresa, la signora Piera era con lei.

_ Va meglio mamma?- chiese Mario dopo aver accompagnato all’uscio il dottore.

_ Si, bene.- rispose la donna fra le lacrime che non riusciva a trattenere

_ Su, non faccia così, le preparo una bella camomilla e tu, vai in

farmacia su, in fretta. – Il tono della signora Piera era molto autoritario.

_ Non dite niente a mio marito…mi raccomando…ora è passato,

sto bene…davvero…-

“ Ci mancava anche questa” pensava Mario mentre andava in farmacia “ è una gran rottura se si lascia prendere dai nervi, se poi ci si mettono anche le sue crisi isteriche a provocarmi sensi di

colpa sono proprio a posto.”

La signora Piera si era prodigata con sollecitudine, essendo vicina l’ora di pranzo aveva messo sul fuoco la pentola con l’acqua per la pasta

Graziella si sentiva senza forze: una povera cosa abbandonata sul

letto come lo era uno dei suoi strofinacci là sul cassettone. Lei

stessa oggetto rituale di quella liturgia della casa di cui si sentiva un simbolo  privo di valore.

Il primo a rientrare fu Luca.

_ Mamma stai male?- chiese preoccupato nel vederla stesa sul letto e subito aggiunse rivolgendosi al fratello.- Allora non si mangia?-

_ Si, si, ora andiamo a tavola. Aiutami ad apparecchiare. – e lo condusse in cucina.-

_ Che cos’ha la mamma, è così pallida, sta male davvero? –

_ Non è ammalata, non ti preoccupare…Stai attento, fai cadere i bicchieri ! –

_ Ma se sta male e si ammala come faremo?-

­_ Ti ho detto di non preoccuparti, è un malessere da nulla, alle donne succede. Fra poco si alzerà e sarà tutto passato –

_ Papà lo sa? –

_ No, non gli abbiamo telefonato.-

_ Allora non sta male per davvero. –

_ Prendi il pane e la bottiglia dell’acqua dal frigorifero.- Mario cominciava a spazientirsi- Attento!!!…Hai visto che hai combinato? –

La bottiglia era scivolata dalle mani del bambino e, cadendo, era esplosa per via del gas compresso.

_ Ca…, non ti si può far fare niente! – Gridò Mario infuriato.

_ Ragazzi… - La mamma era accorsa, guardava con sgomento tutta l’acqua e i vetri sparsi.-

_ Ci pensiamo noi, tu torna a letto. – Mario cercò di mandarla via.

_ Lasciami, mi siedo qui. Tu Luca prendi la carta dal rotolo lì sopra il lavandino e asciuga con quella…Attento…così potresti ferirti con le schegge di vetro. – Dirigeva i lavori con la pena di chi avrebbe preferito fare da sé.

“ Questa volta l’ho fatta grossa “ pensava il bambino lavorando a capo chino evitando lo sguardo della madre.


Luciana arrivò che tutto era già a posto. Era una ragazza molto graziosa con una figuretta esile, lunghi capelli biondi sciolti in onde vaporose e un visetto illuminato da due occhi grandi azzurri.

_ Sono felice, - disse con voce alterata - l’interrogazione di matematica è andata bene, durante lo sciopero con la Lucia e il Marco abbiamo rintracciato la Prof e ci siamo tolti il pensiero. –

Neppure il racconto di Mario su ciò che era accaduto alla mamma pareva turbarla: del resto era lì in cucina, un po’ pallida con gli occhi arrossati, ma sembrava che stesse bene.

_ Vieni, Luciana, l’acqua bolle: butta la pasta – Le disse la madre.

_ Un momento… devo telefonare a Giuseppe, forse domani c’è sciopero…- e si diresse verso il corridoio.

_ Ora vieni qui, telefonerai dopo… ho bisogno di te !- Il tono di queste parole era duro e stizzito.

_ Un momento…Che lagna…-

_ L u c i a n a !!!-  chiamò a gran voce Graziella

_ E non gridare così – urlò a sua volta la ragazza e, con tono di sopportazione, aggiunse: - Se sei stata male non ti fa bene arrabbiarti. Sono qui, va bene, telefonerò dopo… Che rottura… - aggiunse con voce bassissima. –

_ Adesso sei tu che mi hai “rotto”. Tutti e tre, ascoltatemi bene: io…io…- Graziella era visibilmente alterata. Voleva poter vomitare addosso ai suoi tre figlioli tutto quello che da troppo tempo si teneva dentro. Non poteva più aspettare, non poteva che dire sperando che loro capissero: -Vi siete mai chiesti che cosa rappresenta per voi questa nostra famiglia? Dunque, sapientoni, che cosa rappresentiamo realmente vostro padre ed io?-

_ Mamma, su, che ragionamenti stai facendo… E’ l’ora di pranzo, mettiamoci a tavola. – Solo Mario aveva trovato il coraggio di interromperla per una sorta d'autodifesa di fronte a un discorso che, prevedeva, li avrebbe portati troppo lontano.

Luchino, seduto di fronte alla mamma, sembrava voler scivolare sotto il tavolo nel tentativo di farsi piccolo per non essere coinvolto. Luciana guardava Mario con un’espressione interrogativa, non capiva  cosa stesse succedendo e il perché.

_ Cari figli miei, io vi ho fatti, vi ho nutriti, vi ho curati e cresciuti. Io sola so quali sacrifici mi sia costato starvi vicina, occuparmi e preoccuparmi per voi; rinunciare ai miei progetti e sogni per dedicarmi esclusivamente a voi. Quando eravate piccini ero paga

del vostro affetto, mi sentivo orgogliosamente realizzata specchiandomi in voi… ma poi…vi ho persi…non vi conosco più…- Grosse lacrime rigavano il volto di Graziella; anche Luchino ora piangeva perché non comprendeva quel discorso della mamma.

-…La pasta sarà cotta, su, Luciana, datti da fare io vado a stendermi sul letto.- e corse via per non piangere davanti a loro.


Ancora una volta quel discorso tanto preparato e mai fatto era rimasto a mezz’aria. Niente può dare ad una madre il coraggio di

dire ai propri figli che cosa si aspetta da loro: è un desiderio che cova nel fondo del suo cuore, lo nutre con la speranza di vederlo

fiorire nella realtà come corrispondenza spontanea al suo amore donato senza egoismi, come la più naturale conseguenza al suo agire.

Se ciò non accade spontaneamente, come può una madre chiedere ai propri figli ciò che le devono?

“Ho sbagliato tutto, sicuramente alla base di questo loro atteggiamento c’è un errore mio, ma quale? Dove ho sbagliato?” Graziella si poneva queste domande con insistenza e con un’amarezza che le attanagliava il cuore confermando quella sfiducia in se stessa che l’accompagnava da sempre.



Non avevano ancora esposti i "quadri" di fine anno. Attorno al Liceo c'era un brulicare di ragazzi in fermento. La sicurezza di alcuni contrastava con l'insicurezza degli altri.

Fra le risate e gli schiamazza era evidente l'amsia di un'attesa sfibrante.

Finalmente fu aperto il portone e la fiumana di giovani si riversò nell'atrio: era tutto un vociare, un chiamare fra salti di gioia ed esclamazioni di rabbia.

- Mi ha proprio dato Latino quella…!-

- Dai, Luisella non te la prendere.-

- Lei ci sperava, scusa.-

- L'ultima a morire è la speranza! - esclamò Mario avvicinatosi ai ginnasiali - Quanti rimandati nella vostra classe? - chiese.

- Quattro.-

- Mi pare giusto, una buona rappresentanza a settembre.-

- Giusto un corno - replicò Giuseppe arrabbiatissimo.- Era uno dei rimandati. Quella sua faccia di meridionale sembrava ancora più scura tanto era arrabbiato e deluso.

- Io Matematica non la digerisco e l'avevo detto al Prof e lui, per tutta risposta: "- prendi un bel quattro e ci rivediamo a settembre" prendi nel …- accompagnando questa frase con un gesto significativo.

- Però, scusa, lo stronzo sei stato tu a dirgli che la sua materia non ti piaceva, lui ha agito di conseguenza: ora la devi studiare per forza. -

-Ci vuole ipocrisia nella vita, non lo avete ancora capito?- Intervenne Silvia che, con la sua voce mielosa era in sintonia con il tutto tondo del suo corpicino grassottello. - Bisogna imparare a vivere, miei cari, non si può essere sempre sinceri. -

Luciana aggiunse: - Ciò che pensi deve essere solo tuo: devi dire            ciò che gli altri si aspettano che tu dica. E' come se in noi ci fossero due realtà ben distinte: una privata in cui sei te stessa e l'altra       pubblica così d'ottenere ciò che ti fa comodo. -

- No, questo non è giusto: uno è ciò che è e dice ciò che pensa, bisogna essere sempre coerenti. - ribatté Rosaria. Era una ragazza dall'aspetto severo, alta e magrissima, aveva un viso spigoloso in cui lo sguardo penetrante degli occhi scurissimi esprimeva molta sicurezza.

-        Rosaria ha ragione - disse Mario - ma per essere come lei dice

bisogna che uno non dipenda da altri: E' il concetto di libertà che va inquadrato: sei libero in quanto agisci secondo la tua volontà e puoi farlo se non hai rapporti da subalterno.

_ E' il concetto d'anarchia. - aggiunse Franco

_  Perché non di democrazia? - Gli fu chiesto.

- Dico di anarchia perché è in questa il concetto puro di libertà.-

-- Io non volevo arrivare all’anarchia – ribadì Rosaria interrompendo i compagni – io volevo solo dire che, se uno di noi agisce conformemente a ciò che ritiene giusto nel rispetto di tutti, non fa altro che essere onesto con se stesso e con gli altri.-

- E si trova come Giuseppe con matematica a settembre.- intervenne Luciana che condivideva tutta l'amarezza del suo ragazzo.

-Tu, Giuseppe, sei stato stupido, perché se studiavi quel minimo indispensabile per arrivare alla sufficienza, non sarebbe successo nulla. La Matematica è nel programma e bisogna studiarla. Anche a me non piace Latino, però lo studio e, visto che lo devo fare, cerco di farlo almeno benino. – Disse ancora Rosaria.

_ Se è per questo, piace a pochi. – Carla aggiunse con convinzione. Era stata zitta fino allora, anche lei faceva parte dei rimandati,

avrebbe dovuto rimediare proprio Latino.

_ Vogliamo un mondo migliore, ma, invece di contribuire a migliorarlo, non facciamo che adeguarci a ciò che ci circonda.- ribatté Franco - bisognerebbe davvero prenderci sempre le nostre responsabilità -

_ Intanto io sono rimasto fregato.-

_ Dai, Giuseppe, che cosa ci vuoi fare?-

_ Ciao, cari, io vado.-

_ Anch'io.-

_ Ci vediamo tutti domani in pizzeria?-

La risposta fu un coro di si


Il gruppo si divise. Attorno alla scuola erano rimasti in pochi. I giovani andavano e venivano, s'incrociavano saluti e richiami. Qualche parola oscena  e qualche deprecabile bestemmia venivano pronunciate da quelle labbra per ostentare una maturità illusoria. Credevano di essere già uomini e donne, in grado di sapere che cosa approvare o disprezzare di quel mondo adulto che presto li avrebbe fagocitati.

Beata gioventù che di beato non ha che la retorica.

Essere giovane oggi non è facile come può sembrare. Hanno tutto, si dice, ma che cosa hanno realmente? Morale? Ideologie? Religione?

Quali esempi se non quelli della loro famiglia, quando questa è una “buona famiglia"?

Quali modelli da questa società forgiata dall’invadenza dei media?

Solo l'apparire sembra essere importante e la bellezza fisica, l'unica moneta da spendere.



Rosaria era rincasata in compagnia della tristezza.

L’anno scolastico era finito: nove mesi di studi, di lavoro intenso,

ma per che cosa? Attorno a lei sentiva tutta l’incertezza del futuro.


_ Sono scoraggiata, nonna, non so più… ho il nulla davanti a me… Di certo ci sono solo altri tre anni di Liceo e poi dovrò fare la mia

scelta per entrare attivamente in una società che mi spaventa per quanto mi appare incomprensibile. -

Claudia era una nonna molto presente ed esprimeva uno spirito giovanile. Aveva un aspetto semplice e una serenità nello sguardo che le donava forza e personalità.

- Ti capisco, quando io avevo la tua età avevo anch’io le incertezze e i timori, però, allora, si possedevano sicuri appigli a cui stare ben attaccati. Prendi, ad esempio, la Fede Religiosa, pur con i suoi tabù faceva da buon argine alle nostre eventuali scellerate libertà e indirizzava i nostri ideali verso una sorta di sublimazione della vita.-

_ Ma noi…-

_ Ma voi, voi potreste essere migliori di quanto lo siamo state noi perché sono cadute tante ipocrite convenienze; sono crollati tanti tabù, avete la possibilità di parlare liberamente mettendovi a

confronto con il pensiero altrui. Anche nella scuola, con gli insegnanti, c’è certamente più dialogo.

_ Relativamente, nonna…

molto relativamente… Mancano anche le idee.-

_ Non è vero che mancano le idee, anche questo è un comodo luogo comune.  C’è sì una moda anche nelle correnti di pensiero, ma dalla critica ad un’idea ne nascono altre in ampliamento o in antitesi, importante è saper pensare e tradurre il pensiero in linguaggio. Non credere che la società si possa riformare facilmente. Io, a diciotto anni, ero molto impegnata politicamente. Erano gli anni cinquanta, si era usciti da una terribile guerra e la neonata Repubblica doveva crescere. Mi sentivo coinvolta nell'evoluzione sociale che era in atto, pensavo di contribuire alle riforme con i miei amici del gruppo giovanile di un partito politico.

Forse politicamente tutto il lavoro di noi giovani è servito a niente, forse abbiamo solo portato acqua al mulino degli interessi di parte, ma sono stati anni bellissimi per me, molto formativi per la comprensione dei problemi altrui, il confronto delle idee e la tolleranza.

La realtà è quella vissuta dalle persone con cui vivi in famiglia, nella scuola, sul lavoro. Se ognuno agisse bene in quest'ambito tutto il corpo sociale ne trarrebbe giovamento. Non illuderti di poter mutare il mondo con azioni dirompenti.-

_ Io vorrei solo poter pensare ad un mondo migliore in senso generale.-

- Certo che lo devi pensare. Devi contribuire alla sua realizzazione con una visione relativa alla tua realtà e al raggio d’azione della tua persona, non senza una dose d'egoismo che ti permetta di maturare la tua formazione per poter, in un secondo tempo, donarti agli altri. Prendi ad esempio lo scienziato: si chiude nel  laboratorio egoisticamente, al momento opportuno comunicherà al mondo la sua scoperta. -

_ Io non so pensare a me come singolo individuo, mi vedo quale parte integrante della società e se questa è iniqua mi sento a disagio. Mi piace pensare in termini di collettività. Rivoluzionerei interi sistemi se ne fossi capace. Vorrei vivere fra persone felici.-

_ Cara bambina, la felicità, quando c’è, è in ogni singolo individuo indipendentemente da ciò che lo circonda. Si può essere veramente infelici anche se inseriti in una forma di vita sociale più

che perfetta.-

_ Nonna, devi riconoscere che è realmente più facile essere sereni  se attorno a noi regna la pace, intesa come serenità. -

_ Credimi, Rosaria, la vera grande pace è quella che ogni persona porta nel proprio cuore, il resto è solo un mezzo che può favorirla o disturbarla, non è sicuramente il fautore di quella pace vera che è, e resta, un fatto esclusivissimo e privato. Una società economicamente ricca non garantisce una vita felice e neppure quella basata sull’uguaglianza sociale o la libertà nella democrazia. Niente di esterno può dare alla persona quello che solo la sua individualità può possedere: le certezze nella Fede,  l’onestà, la visione ampia e  spirituale della vita. Queste sono mete conquistate dalla singola persona e che nessuno può annullare.-

Rosaria ascoltava pensando:” come può dire certe cose?” e con tono alterato ribattè : -   Solo tu, nonna, puoi parlare così; dimmi  come possono essere “felici dentro” e sereni i profughi e le popolazioni dell'Iraq, della Palestina, d'Israele e di tutte le altre perennemente in guerra?

_ In questi casi la vita è tragedia. Ciò che c’è nell’animo di ogni individuo è ancora più importante. Attorno a lui, gli altri, possono fare o non fare, distruggere anche la sua persona, condizionarlo nelle sue azioni, colpirlo negli affetti più cari, portarlo alla disperazione, ma a che cosa potrà aggrapparsi per sopravvivere? Solo a ciò che racchiude nel suo animo: al sapersi unito a Dio per non sentirsi solo, alla speranza di salvezza, al saper vedere quel poco di buono in quell'insieme di negatività. Più valori possiede, più saprà sopportare.

_ E’ mostruoso pensare alla distruzione che provoca una guerra. Nessun animale nuoce così a quelli della sua stessa specie. –

_ Guai a chi provoca dolore e pianto, il male ricadrà su di loro come una dannazione.- Claudia pronunciò queste parole con una durezza che incuteva timore.

_ E’ la nostra impotenza, nonna, che mi addolora, capisci?-

_ Certo che ti capisco…ed è per questo che ti dico: se non puoi agire direttamente nei mutamenti sociali, hai, come tutti, il dovere di agire bene sempre, principalmente nel ristretto ambito della tua scuola, con gli amici e con la tua famiglia. Il bene genera altro bene, ricordalo. –


Il pomeriggio era afoso solo come può esserlo a Milano.

Marta non arrivava ancora. Mario l’aspettava con impazienza, era anche questa volta in ritardo come sempre. Se c’era una cosa che lui non sopportava era lo stare lì come un cucù ad aspettare all'angolo della piazza.


_ Ciao, Mario!.- Esclamò un ragazzo sopraggiunto alle sue spalle.

_ Ciao, Gabola.- rispose con entusiasmo Mario.

Gabola era il soprannome di Francesco perché aveva la mania di raccontare frottole nell'arricchire a dismisura le sue esperienze e vantarsene.


_ Da dove arrivi?- gli chiese Mario perché da qualche giorno non lo vedeva.

_ Sono stato in montagna, vista l’abbronzatura?- così dicendo

sollevò il viso in piena luce: era rosso come un gambero.

_ Bella scottatura davvero.- affermò Mario.

_ Ho fatto giorni da dio e speso niente.-

_ Come il solito?-

_ Ne ho di belle da raccontarti, mi conosci, ma ora devo andare, mi

aspettano…ciao, ci vediamo.-

_ Si, si, ciao.- disse Mario scuotendo il capo.

Marta stava attraversando la piazza con passo svelto. Era ansimante :

_ Scusami… - balbettò.

_ Se ti fai aspettare così, un’altra volta ti mando a farti f……-  Mario era furente. Lei abbassò gli occhi: aveva un’espressione stranamente contrita, ma stava solo trattenendo un impeto d’ira.

- Andiamo al cinema.- disse Mario con decisione afferrandola per un braccio.

Lei si lasciò trascinare con docilità solo apparente -“ Mi hai rotto”-

pensò, e già stava covando una certa vendetta.


Luciana era rimasta a casa ad aiutare la mamma a rimettere in ordine la libreria. Bisognava togliere i libri che non sarebbero più

serviti per fare posto ai nuovi.

Lo scaffale di Mario era in un disordine indescrivibile: c’erano foglietti d’appunti sparsi su tutti i ripiani. Come riordinarli? Veniva voglia di buttare tutto via, ma guai se non li avesse ritrovati: l’esame di maturità era prossimo.


“ La mamma ha ragione a lamentarsi di noi” pensò Luciana di fronte a tanto disordine “ sarà bene che alle sue carte e ai suoi libri Mario ci pensi da solo.” Tralasciò con disgusto l’angolo del fratello e si dedicò alla parte della libreria che la riguardava.

_ Ciao, francese, prendi un bel bacio e addio!- disse a voce alta e baciò melodrammaticamente il libro, non lo avrebbe più dovuto studiare.

Giuseppe le telefonò che era già sera. In casa sua la notizia dell’esame era stata accolta molto male. Aveva trascorso una giornata nera e il morale era a terra.

_ Mamma, invito Giuseppe a venire e cena da noi.-

_ Non posso dirti di no, visto che lo hai già deciso.- rispose Graziella sarcasticamente.

_ Il tuo consenso mi pareva ovvio: non è la prima volta che cene con noi.-

_ Certo, tutto ciò che fa comodo a voi è normale e indiscutibile,-

_ Va bene, allora gli dico di non venire.- rispose la ragazza stizzita.


_ Mamma, non ci sarebbe un paio di pantaloni d’emergenza?- gridò Luca entrando in casa come una furia.

_ Che  cosa è successo?- chiese Graziella.

_ Giudica tu. – Il bimbo si voltò mostrando con un inchino un bello strappo sul sedere.

_ Sei un incorreggibile monello.- e, contrariamente a ciò che lui si aspettava, la mamma gli tese le braccia e se lo strinse forte al petto.

Queste erano il tipo di contrarietà che avrebbe voluto avere ancora dai due figli più grandi.  Che cosa sono un paio di pantaloni laceri e sporchi al confronto delle ambasce che le procuravano Mario e Luciana? La preoccupava quella loro bramosia di vivere, di sperimentare, di non perdere occasioni. La droga era veramente fuori dalle loro esperienze?

Li sentiva inquieti, a volte stanchi, spesso sfiduciati, ma sempre solidali fra loro contro di lei come se rappresentasse un freno alla loro vita, quasi la vedessero come una nemica: volevano gestire la presunta maturità raggiunta senza le sue interferenze.

Forse non aveva saputo ispirare loro la necessaria confidenza,

eppure… Le era sembrato di essere stata una buona amica fino a qualche anno addietro.


_ Quello sciagurato di tuo figlio è a spasso con Marta invece di studiare. Vedrai che bella sorpresa all’esame di maturità.- Luciana sputava veleno.

_ Ma sai, quella lì è proprio un’acida zitella.- disse sottovoce Luca alla mamma mentre  allacciava le bretelle ai nuovi pantaloni.

Graziella sorrise a questo suo piccolo che le era di grande conforto; con lui non doveva sbagliare, non doveva lasciarselo sfuggire.


Le giornate erano ormai notevolmente calde.

Mario, che aveva studiato preferibilmente di notte, era stanco. Lo sforzo per rimediare a tante lacune accumulate durante l’anno scolastico appena terminato era massacrante. Si sentiva scoraggiato perché, come sempre succede, più si studia in queste condizioni, meno si crede di sapere.

In famiglia era intrattabile, non si vedeva più neppure con Marta.

La data dell’esame era ormai prossima e decise di dedicare gli ultimi giorni al ripasso con i compagni più cari: Fabrizio, Lucia e Giorgio.

Al gruppo iniziale dei quattro si unirono Antonio e Clara, coppia fissa ormai da due anni. Antonio era un “mite” e Clara era una ragazza che ispirava tenerezza a prima vista: aveva una corporatura esile, un viso non bello, ma dolce e dei lunghi capelli neri e lisci sciolti sulle spalle. Sotto quell’apparente fragilità nascondeva un carattere forte. Faceva parte del Collettivo Donne

della scuola sin dalla quarta Ginnasio ed era una ”impegnata” che si faceva rispettare per il suo intelligente buonsenso.


Era stato difficile trovare una madre disposta ad averli tutti per casa, ma, alfine, Fabrizio riuscì a convincere la sua, non si sa con quali argomenti.

Nella camera di Fabrizio i ragazzi si scambiavano domande e risposte, precisazioni e correzioni fra carte sparse e mozziconi di sigarette.

_ Non ricordo più nulla.- disse ad un tratto Lucia, sgomenta. Era

una ragazza molto studiosa e puntigliosa; aveva un aspetto massiccio, una statura decisamente alta, grandi spalle e un che di mascolino nei modi.

_ Stop. Pausa, ho il cervello che va in tilt.- esclamò Mario.

_ Porca miseria, non si può studiare così tanto…è contro natura questa nostra segregazione… Io non m'iscrivo all’Università, io

vado a fare “Agraria pratica”.- disse, serio, Giorgio. Aveva una statura di sotto la media e un aspetto infantile; due occhi scuri illuminavano d’intelligente furbizia il bel viso dai lineamenti regolari.

_ Bravo, sette più. – sentenziò Mario.

_ Non dite str……, adesso passiamo a letteratura greca. “Chi si ferma è perduto”.- Fabrizio era il più assennato dei ragazzi e, sicuramente il più studioso. Il suo carattere puntiglioso e severo non gli aveva mai permesso d'essere impreparato alle interrogazioni.

_  Ci pensate: con questo si concludono ben tredici anni di scuola!

Tredici anni della nostra vita sprecati su queste porcate.- così dicendo Antonio buttò per aria un mazzetto di fogli scritti fittamente.

_ A che cosa ci sono serviti?- chiese Lucia.

_ A niente, proprio a niente considerando le prospettive.- rispose Clara molto scoraggiata.

La mamma di Fabrizio entrò con un vassoio colmo di panini imbottiti: - Visto che siete in ricreazione, rifocillatevi.-

Inutile descrivere l’accoglienza. Tacevano: ora, si udiva solo rumore di mandibole.

_ Volete una birra?- chiese la donna mentre usciva dalla stanza e si allontanò senza attendere l’ovvia risposta di quei ragazzi che conosceva bene.

_ Capite… a che cosa ci è servito, in pratica, questo studiare?. – _ _ _Antonio aveva ripreso il discorso.

_ Vi è servito, vi è servito.- disse la mamma di Fabrizio entrando nella camera con i bicchieri ricolmi di spumeggiante “bionda” – Vi

è servito per crescere, per imparare a vivere e per maturare con le giuste esperienze.

_ Saremmo cresciuti comunque.- le fu risposto.

_ Si, ma nella scuola avete potuto misurarvi in un ambiente a vostra dimensione. Non sareste quelli di oggi se foste cresciuti fra gli adulti in un ambiente di lavoro.-

_ Io credo che sarebbe stato anche meglio.- obiettò  Mario

_ La tematica esistenziale che ci coinvolge nella visione di una società pluralistica…-

_ Per favore, Clara. – esclamarono in coro i ragazzi

interrompendola.

_ No, no, ragazzi, non avete perso tempo in questi anni vissuti sui libri: vi siete esercitati a pensare, a giudicare, a usare il vostro senso critico attraverso la conoscenza storica e scientifica. Questi sono frutti della cultura e, grazie a ciò, potete essere persone libere. – disse ancora la donna.

_ Sarà, ma io sono stufo di studiare, ve l’ho detto, farò agraria

pratica: badile e zappa saranno gli strumenti del mio lavoro. Se non fosse stato per mio padre, avrei smesso di frequentare la scuola da un bel pezzo. – Giorgio era molto serio nel pronunciare queste parole.

_ Vedrai che superato questo esame, non la penserai più così. Quella ricchezza di pensiero che è in te,  con tanta naturalezza che

non ti accorgi neppure di possedere, la ritroverai nel corso della tua vita e sarai grato anche alla scuola…Vi preparo un bel piatto di spaghetti se volete fermarvi a pranzo,- e raccolse i consensi con un largo sorriso.

_ Hai una mamma che è un tesoro.- disse Lucia

_ Si, quando non rompe con le prediche.- rispose Fabrizio.



Mamme che “rompono” e figli che deludono. Figli che vogliono essere lasciati nelle verità che appaiono lampanti ai loro occhi e nelle illusioni, idealizzate, di una realtà individuale e originale.

Madri accorte, intelligenti, colte, che in gioventù hanno vissuto i problemi dei figli, le stesse illusioni, le stesse utopie resesi concrete poi in una realtà più vera, sfrangiata di tutte le sovrastrutture.

La realtà è il vivere di giorno in giorno ed è lì sotto gli occhi, è quella che si vede, non quella che si vorrebbe che fosse: questa è la maturità delle madri. Esse vorrebbero evitare ai loro figli tutte le delusioni, ma raramente possono farlo, niente e nessuno può togliere ad altra persona l’esperienza diretta.

Vita è sperimentare, è superamento delle situazioni, è conquista interiore, è appropriazione di tutto ciò che dall’esterno sollecita l'io personale

Le madri, dunque, hanno un ruolo preciso: forgiare la capacità d'apprendimento dei figli ad avere una visione aperta della vita senza mai sostituirsi a loro.


_ Mamma – chiese Luciana – tu, con papà come hai fatto a capire…Cioè, volevo chiederti: tu papà l’hai amato e sposato per decisione tua?-

_ Come per decisione mia. –

_ Cioè, si…come…come è andata che vi siete amati?-

Graziella era sorpresa dalla domanda della figlia, ma, che strano, la faceva ridere:- Come vuoi che sia andata…come per tutti…Ci siamo conosciuti ad una festa, abbiamo simpatizzato subito. Papà era un bel ragazzo molto gentile. Possedeva un grande senso di

responsabilità e, frequentandolo, capii che era il ragazzo per me. Con lui conobbi in me sentimenti che non avevo mai provato prima, era quella parte che mi completava.-

_ Che ti completava?.-

_ Si, con lui mi sentivo a mio agio, mi sentivo capita e realizzata. Nessun altro prima mi era stato così indispensabile: lo amavo come amavo me stessa. Ne ho avuti sai, di corteggiatori! – e sorrideva nel ricordare.

_ Ti piaceva tanto, dico…, fisicamente? – C’era un leggero rossore sulle guance della ragazza.

_ Sicuramente, ma non solo per questo mi aveva colpito. E’ che improvvisamente  capii che cosa era l’amore. Gli altri non hanno più avuto alcuna importanza per me, esisteva ed esiste ancora, solo lui.-

Luciana era perplessa: a lei Giuseppe piaceva molto, stava bene con lui, era tanto dolce, ma non sapeva dirsi con sincerità se lo sentiva così indispensabile compagno della sua vita futura.

_ Mamma, - chiese ancora – tu hai detto più volte di aver sacrificato i tuoi ideali alla famiglia, questo non è giusto. Un uomo che riduce la propria compagna al tuo stato vuol dire che non l’ama, non la capisce e quindi come può essere l’uomo ideale? –

_ Tutti abbiamo momenti di abbattimento e pronunciamo frasi di cui poi ci pentiamo. E’ lontano il tempo in cui il destino della donna era solo il matrimonio, però siamo nate per donare. Voi figli non ci avete chiesto di nascere, noi vi abbiamo voluti e avete diritto al nostro sacrificio per farvi crescere.

Non può essere diversamente. Che ne sapete voi di ciò che ha dovuto rinunciare vostro padre per provvedere al vostro mantenimento? Anche lui ha dovuto, a volte, sacrificarsi a svolgere un lavoro sgradito; anche lui ha subito umiliazioni, frustrazioni e incomprensioni.

Il donare è già di per sé un sacrificio e il donare se stessi ad un'altra persona, anche nell’amore, è ripagato ampiamente solo quando sussiste un rapporto che sublimi la dedizione.

_ Ma quando una ragazza come me s’innamora, come fa a capire che è “quello giusto”? Come si può non confondere l’amore con l’attrazione fisica quando un ragazzo è bello un sacco? -

Luciana stava parlando alla madre con la confidenza che la donna aveva sempre sperato. Graziella, però, temeva di non riuscire a rispondere esaurientemente.

Avrebbe voluto dirle che per poter essere sicuri di una scelta bisogna saper interpretare i valori umani, morali e religiosi della vita.

Occorre avere il grande rispetto per quella scintilla che è pronta ad

accendersi nei troppo facili amplessi, essere educati al dominio delle intemperanze per il rispetto dovuto al partner. Occorre saper donare se stessi senza riserbo solo quando sussistono le premesse per la realizzazione di una vita in comune.

Il passare da un amore all’altro inaridisce tutta la carica poetica ed entusiastica indispensabile per  superare le difficoltà di una vita a due.

Troppe concessioni vengono fatte in nome di una liberalizzazione che altro non è che egoistica schiavitù.


Questi pensieri si tramutarono in parole, ma Graziella non era

certa di aver saputo esprimersi come avrebbe voluto.

Era avvilita, neppure al marito poteva confidare il sapore amaro delle sue incertezze.

Lui non l’avrebbe capita, era così fiducioso nei confronti dei figli, li amava ed era pago dell’affetto che loro gli dimostravano. Non si poneva problemi, lui.


Niente è nuovo di ciò che accade al genere umano, esclusivo per ciascuno è solo il modo di vivere l’accaduto facendo d'ogni evento un’eccezione, come per le “ cotte giovanili”, tipici innamoramenti irrazionali.

E’ successo a Luciana per Giuseppe, a Mario per Marta, a Lucia per Fabrizio che a sua volta aveva un debole per Silvia.

Anche la razionalissima Rosaria aveva problemi di cuore: subiva il fascino di Franco, ma lui corteggiava Carla senza successo. Questa situazione la disturbava molto perché Franco ( non era il colmo?) le confidava le pene del suo amore non corrisposto.

Rosaria era rattristata e sofferente per questa situazione.

_ Non te la prendere troppo – le disse la nonna in una di quelle

sere in cui la ragazza si confidava con lei – Vedi, la tua disponibilità come amica ti mette fuori gioco. Un’amica non può essere altro che un’amica.  Giuseppe, ad esempio, potresti vederlo in altro modo fuor che l’amico che è?  Potresti sentire dell’attrazione verso di lui?-

_ Ma no, poverino, non mi piace. –

_ Non è questo, non è una gran bellezza di ragazzo, ma gli sei tanto amica da non vedere altro in lui.-

_ Anche Franco mi è amico, se ti dico che mi tocca sopportare le sue confidenze…però è diverso…mi fa…-

_ Ciò accade abbastanza frequentemente, non dare tanta importanza a queste situazioni negativa. Se lui ti dimostrasse un certo interesse, forse, forse ti darebbe anche fastidio.-

_ La solita favola dell’uva e la volpe, è, nonna.-

_ Credimi, Rosaria è spesso come ti dico. –

_ Tu avevi molti amici, vero? –

_ Si, sono stata una ragazza fortunata perché sono sempre stata circondata da tanti amici. Un giorno, un ragazzo napoletano che ,

se non ricordo male, si chiamava Salvatore, mi disse: “Vedi, fra un ragazzo e una ragazza esiste un muro che li pone distanti e interessanti per una sorta di mistero che invoglia a scoprire le

reciproche personalità. Le ritrosie della donna sono spesso la molla che fa scattare l’interesse dell’uomo. Tu, invece, sei così disponibile all’amicizia da abbattere quel muro e uno rimane sconcertato sentendosi come di fronte ad un amico e non ad una ragazza.” Ti assicuro che lì per lì mi sentii lusingata da quelle parole perché era così che volevo essere trattata: alla pari. Quando però, un ragazzo suscitava il mio interesse, lui non se ne accorgeva: ero solo un' amica. -

_ Non hai mai avuto corteggiatori? –

_ Certo che ne ho avuti, ma sai la cosa buffa? Non osavano manifestarsi apertamente, io non lo capivo, gli altri me lo dicevano a cosa passata.-

_  Però con  il nonno…- disse Rosaria maliziosamente.

_ Certo, quando ho conosciuto il nonno è stato diverso. Lo scontro delle nostre personalità forti è stato così violento che le nostre vite si sono fuse l'una con l'altra.

_ Tu avevi più confidenza con il tuo papà, vero ? –

_ E’ stato un padre meraviglioso. Lui mi ha aperto una finestra

perché guardassi il mondo. Mi ha detto: “ Vedi, questo à tutto tuo:

l’orizzonte è tuo, l’universo e tuo, sii degna di ciò che è stato creato e sappi goderne con gioia. Guarda sempre lontano, laggiù è il mondo: gli spazi sono infiniti, i cieli tersi. Il tuo sguardo si perda nell’immenso, superi le meschinità delle cose inique e le piccinaggini dei pensieri inutili. Laggiù, oltre l’estremo dosso dell’ultima collina, ci sono ancora vita e amore. Laggiù c’è ciò che c’è qui vicino, e allora sappi cogliere con un sol sguardo il vicino e il lontano, il mondo nel suo insieme, la bellezza dell’universo. Abbi la gioia di far parte di questo “ tutto “.   Se nella tua vita saranno rose con troppe spine non importa, basta saperle prendere con cautela e buonsenso, ti sarà facile, vedrai, cogliere anche quelle.”


Gli esami di Maturità erano arrivati e, come un soffio, tutto era passato.

Anche questa tanto paventata prova ha avuto un iter non poi così traumatizzante come pensavano sarebbe stata. Tutti i nostri ragazzi, più o meno brillantemente, avevano superato il grande scoglio.

Il futuro? l’Università.

Si ritrovarono attorno al tavolo di una pizzeria a far progetti per le vacanze, stoccate e frecciate reciproche fra risate e discorsi seri.                           - Certo,- disse Antonio –anche se hanno realizzato il numero chiuso a Medicina, alla Segreteria di Facoltà c’era una coda inverosimile.-

_ Non scoraggiarti – intervenne Lucia – il Martino, lo ricordate? Quello di terza che veniva da noi in quarta Ginnasio a buttarci fuori dalla classe perché si partecipasse all’assemblea? Lui al primo anno di Medicina non riusciva neppure a seguire le lezioni da quanta gente affollava l’aula. In seguito, le presenze scemarono vertiginosamente: in troppi lasciano gli studi. –


_ Non so se è bene che tutti, purché diplomati, possano accedere a

tutte le facoltà.- disse Fabrizio.

_ Secondo me è giusto sì –replicò Antonio – sta poi alla capacità di ognuno, alla propria intelligenza, alla propria volontà di recuperare, riuscire ad andare avanti. Con il numero chiuso c'è da superare una prova d'ammissione.-

_ Ma la giusta cultura di base è una premessa indispensabile.- aggiunse Giorgio.

_ Certo è un vantaggio enorme, però, se uno ha passione e intelligenza, può farcela in ogni campo.- ribatté Antonio.

_ Con tanta più fatica quanta meno ha di preparazione.- aggiunse Clara.

_ Perché, scusa, precludere a priori una possibilità?- Antonio non si dava per vinto.-

_ Intanto io non sono ancora convinta della mia scelta…- disse Lucia con tristezza.

_ Io sono contentissimo di aver scelto Sociologia, - Fabrizio era raggiante, lo allettava molto l’idea di frequentare l’Università.

_ Ragazzi, io vi saluto…vado a preparare le valige, domani si parte:   “m a r e " arrivo! –

_ Attenta alle scottature.-

­_ E non solo solari…-

_ A me l’avventura!!! – Facendo un’uscita teatrale, Lucia se ne andò. Risero tutti.

Era proprio finito il tempo del Liceo. Si sarebbero trovati ancora tutti ?

­ Un Agosto afoso era sceso sulla città che si era andata spopolando. Il rito della vacanza estiva si stava compiendo secondo lo schema di sempre.

Graziella era più agitata del solito a causa del suo imminente

battesimo dell’aria: stava partendo, con il marito e Luca, verso quella vacanza in Sicilia che aveva da tempo programmata.

Se da un lato questo viaggio rappresentava la realizzazione di un vecchio sogno, dall’altro era in ansia anche perché per la prima volta Mario e Luciana stavano trascorrendo una vacanza da soli in un villaggio turistico nel  Gargano.



_“ALITALIA volo numero duecentotredici per Catania, presentarsi all’imbarco dodici…ALITALIA volo numero………”-  L’altoparlante annunciò la partenza e in Graziella aumentò l’agitazione. Non osservò neppure lo svolgersi delle formalità per l’imbarco, come un automa seguiva il marito; forse tremava.

Si ritrovò sull’aereo.

_ Mamma, sto io vicino al finestrino.- esclamò Luca facendosi largo. Era eccitato e felice.


I motori rullarono e l’aereo si mosse portandosi sulla pista di decollo.

Graziella aveva molta paura, ma cercava di nascondere tutta la sua agitazione per non allarmare Luca e fare una figuraccia agli occhi del marito che, a causa del suo lavoro, era un veterano del volo.

_ Guarda papà, - Luca aveva aperto il tavolino – guarda, ci si può

appoggiare e c’è anche questo per non vedere.- Aveva abbassato la tendina che scendeva rigida a coprire il finestrino.

Luca comunicava a voce alta le sue gioiose scoperte.

Un rullio più intenso, una gran velocità percepita appena e il distacco da terra, fu vissuto da Graziella senza quasi respirare.

Ora puntavano in alto, sotto di loro tutto rimpiccioliva in fretta.

- Bello, ha tagliato una nube! – Per Luca era un’esperienza esaltante.

Ora, si vedevano solo nuvole: cirri e cumuli in movimento a

formare un mondo fantastico di fiori e animali da cui Graziella non riusciva a togliere lo sguardo.

Il Mondo era di sotto, laggiù c’era la vita umana, i problemi quotidiani, le case, le cose, le ansie…Graziella pensava come tutto era lontano da quel loro aeroplano che s’innalzava in un cielo incredibilmente azzurro. Grandi spazi allo sguardo, gran respiro all’anima sgombra del quotidiano, solo se stessi guardando la serenità dell’impossibile, l’oblio dell’inutile, il valore dell’essenziale.

Sotto le nubi c’è una realtà piccina di un mondo piccino che vive

anche senza di noi.

L’uomo è di per sè grande, grandi sono i suoi sogni, grandi le sue realizzazioni. , grandi le sue responsabilità per una grande vita.

Gelosie, ripicche, malvagità, odio, invidie non fanno altro che limitare l'uomo ad essere meschino in quel suo piccolo mondo fittizio.

- Mamma, che c'è, che vedi?-

- Le nubi, Luca, vedo le nubi sotto di noi.-


Nada Reale