LA TOSCHINA
-“ Piangi Toschina, piangi che il tu babbo ti compra un dolcetto”- incitava il Nanni. con il suo carretto carico di dolci fermo a lato della strada. Si era attorno agli anni 1910
La Toschina accorse al richiamo e, si mise a piangere e strillare. Il babbo Armando s’affacciò dall’uscio della sua bottega di ciabattino con in mano lo spago e la lenza. –“E che tu vuoi per codesto dolce?”-
-“Solo cinque centesimi “ – rispose porgendo già il biscottone alla bambina che allungò la manina per afferrarlo. Toschina aveva quattro anni.
“ Ho belle e capito, tu sei proprio un birbone! “- e Armando trasse la monetina dalla tasca sotto il grembiule di cuoio. –“ Contenta Toschina?”- e nel dire ciò le accarezzò il capo.
La bimba annuì mentre si portava avidamente alla bocca il dolcetto.
“ Eh, tu la vizi….la vizi troppo codesta furbina.”- urlò dalla finestra sopra la bottega mamma Augusta – “ E tu, Nanni, guarda lì quanti bambini che tu ci hai attorno, ci costringi a spendere quelle poche palanche che guadagnamo!”-
-“Già, ma devo pur provvedere alla mia famiglia, questo è il mio lavoro!”-
La situazione si ripeteva ad ogni passaggio dell’ omino dei dolci, circa una volta al mese.
Seano, una frazione di Carmignano,era un paese tagliato in due da una strada statale, e non era diverso da i tanti paesi fra Prato e Firenze.
Augusta e Armando si erano conosciuti giovanissimi: lei era una ragazzetta con un bel viso dalla carnagione olivastra. Gli occhi nerissimi erano espressione di un’intelligenza vivace e comunicativa. Era l’unica femmina dei tre figli di Alberto e Fortunata.
Nonno Alberto era un “figlio di nessuno” ed era cresciuto in un orfanotrofio: i suoi tratti somatici, la sua signorilità nei modi, la pacatezza del suo parlare, avevano fatto dire di lui che avesse discendenze aristocratiche. Ipotesi avallata dalla presenza in Poggio a Caiano della Villa Medicea, residenza di caccia dei Savoia e non era difficile che fra cortigiani e belle popolane nascessero figli illegittimi.
Poiché in collegio aveva studiato, nonno Alberto era conosciuto come Maestro, e lo era veramente il maestro dei poveri, andava nelle campagne ad insegnare a leggere e scrivere ai contadini e ai loro figli portando a casa i frutti della terra come compenso.
A lui si rivolgevano i compaesani perché scrivesse per loro, e leggesse, lettere e documenti.
Augusta però era analfabeta: allora si riteneva inutile per una femmina affrontare la lunga strada che portava dalla Furba, rione di Seano. alla scuola di Carmignano poiché la donna doveva essere solo una buona moglie e una brava madre, non occorreva che sapesse leggere e scrivere, quindi, Augusta non frequentò la scuola e non imparò neppure dal papà Alberto.
La cultura,in quei paesi, si tramandava oralmente, complice il lavorare la paglia facendo trecce che servivano, fra l’altro, anche per i famosi cappelli di paglia di Firenze. Questo era il più diffusi mezzo di sostentamento per quella popolazione.
Le donne e, spesso anche gli uomini, lavoravano quei lunghi fili dorati per lunghe ore. Si riunivano a gruppi nelle case dell’uno o dell’altro sotto ombrosi pergolati o freschi androni in estate e, in inverno, nelle ampie cucine attorno ad un grande braciere.
Quell’umanità semplice e povera tramandava una saggezza fatta di riflessioni, di racconti di vita vissuta o fantastici, di storie bibliche, di amori epici, di guerre e di Angeli e Demoni.Non mancavano mai la recita del Rosario alla Madonna e, in autunno le preghiere per i Defunti.
Nonno Alberto, che era il più colto, offriva ciò che sapeva con semplicità e lo ascoltavano volentieri. C’era la buona abitudine di dialogare, ognuno parlava di ciò che voleva e le parole uscivano libere specialmente alla sera quando,avviata la treccia, venivano spente le candele per non consumarle e lavoravano alla luce della notte luminosa estiva o a quella del braciere invernale.
Così parlavano di tutto e tutti erano a conoscenza di ciò che accadeva:
-“…e la povera Mercedes? Lui, il Barone, l’ha abbandonata e lei, per la disperazione s’è buttata in Ombrone”-
-“L’anno ripescata appena in tempo, l’era quasi affogata,ma la creatura che aveva in grembo l’è morta”-
-“ Ora come la sta?”-
-“Meglio, ma la piange di continuo”-
-“l’ha così da piangere!”-
-“Bella com’è, doveva aspettare un buon marito, uno di noi…..non guardare il alto”-
-“Io l’ho sempre detto: i signori non sono per noi. Loro ci prendono, c’illudono, fanno i loro comodi e poi ci buttan via come un par di scarpe vecchie”-
-“Si, la vogliono la nostra…..”-
-“Attenta, il lume è basso!”-
Quest’ultima era la frase in codice per dire: “bada a ciò che dici, ci sono orecchie di minori che stanno ascoltando.”
Alla Furba si spettegolava, ma nessuno poteva capire questa sua personale tragedia.
Lei aveva creduto in quell’uomo garbato, gentile, istruito e bello……Che ingenua era stata, che cosa si aspettava? Era solo lei la colpevole di ciò ch’era accaduto, ed esprimeva rabbia verso se stessa.
Eppure in paese altre prima di lei c’erano cascate con conseguenti maternità e quindi poteva stare più attenta. Questi pensieri le si accavallavano nella mente quando, nel suo letto, con attorno il silenzio della notte, tutte le ombre prendevano forma e le appariva la realtà dal suo lato peggiore.
Le congetture, le recriminazioni, i ripensamenti, tutto l’attanagliava e la faceva soffrire.
Come uno schiaffo in faccia le arrivò la notizia che il Barone, forse per lavarsi la coscienza, le aveva donato una grossa somma di denaro.
Di primo impulso, Mercedes avrebbe rifiutato il denaro: lei non era in vendita, il bimbo perso, la sua reputazione distrutta e la vita senza un domani non avevano prezzo.
In paese c’era il Priore, un uomo molto saggio che attraverso il Confessionale fece trovare a Mercedes il punto d’incontro con se stessa, la sua anima messa a nudo, la vita, la spiritualità dell’esistere, la pena per la materialità della carne, l’ansia per ricominciare a credere negli uomini e la volontà di confezionarsi addosso una vita vivibile.
La rividero in giro a testa alta, Si era comperata una casa al Poggetto ed era molto indaffarata a seguire il lavoro dei muratori che demolivano e ricostruivano una palazzina che alla fine risultò cintata da un alto muro che vi racchiudeva anche un vasto giardino.
Mercedes aprì la sua casa a tutte le ragazze bisognose di aiuto che vi bussavano. Dalle macerie delle loro vite quel primo gruppetto di donne costruì una speranza per coloro che, dalla disperazione, si elevavano alla Glorificazione del Dio Padre.
Negli anni 1890 le cose non andavano per il verso giusto, il costo della vita aumentava e il lavoro della treccia era molto mal pagato.
Periodicamente arrivava in paese l’uomo con un carro trainato da un cavallo, carico di matasse di paglia che le lasciava e riprendeva le trecce finite misurandole con un’asta di legno. Venivano pagate un tanto all’asta.
-“ Non ti pare che ce lo paghi poco il nostro lavoro?”-
-“ Suvvia, non lamentarti, Fortunata, vi par poco, ma è sicuro, non vi mancherà”-
-“Ma sono troppo poche le palanche che ci date!”-
- “Sono tante, sono anche troppe”-
- “Eccome tu fai a parlare così se mi tocca lavorare tutta la giornata per non poter comperare neppure il companatico!”-
Le altre persone presenti con le loro trecce annuirono con convinzione
-“Pensate a chi non ha neppure questo! Suvvia fatemi passare, “-
“Noi vogliamo che ci aumenti il compenso.” E tutti i presenti “- Si, si vogliamo più palanche per il nostro lavoro!”- urlarono in coro.
“ Non se ne parla: noi, credetemi, a treccia finita, non si ricava che briciole!”
-“ Ci pigliate per grulli? Bene.”- Fortunata non aggiunse altro.
Tutto il pese commentò l’accaduto e serpeggiò la volontà di farsi sentire, di pretendere il giusto rispetto.
Fortunata era decisa,-“Dobbiamo fare qualche cosa, quando viene la prossima volta dobbiamo impedirgli di uscire dal paese. Dobbiamo fargli promettere che ci aumenterà il compenso.”-
Così fecero: alla venuta dell’uomo della paglia uscirono tutti dalle case e si raggrupparono intorno al carro.
Fu ancora Fortunata a parlare:- “Allora hai deciso per l’aumento dei nostri compensi?-
-“Ma via, Fortunata, la si tolga d’attorno, e voi tutti, su andate a prendere le trecce che le misuro e vi do le palanche.”-
-“ Nessuno si muove se tu non ci dai di più”-
Il cavallo che trainava il carro si mise a nitrire: sentiva la tensione che lo circondava.
-“ Tieni fermo il cavallo!”- disse Samuele, uno dei presenti, mentre si avvicinava per prenderlo per la cavezza.
-“Fermo!”-esclamò il carrettiere facendo vibrare la frusta sopra il capo di Samuele, fortunatamente senza toccarlo.
Fortunata non ci vide più- Ascoltatemi tutti- disse- questo carro starà qui fermo fino a quando non ci sarà dato il dovuto!- e si sdraiò per terra davanti al cavallo e tutti i presenti fecero altrettanto.
L’uomo non sapeva più che fare,attese per un po’ che quella che lui riteneva una sceneggiata finisse, ma imperterrite quelle persone se ne stavano lì davanti a lui e dietro di lui occupando, con i loro corpi, tutta la carreggiata.
-Allora?- gli gridò Fortunata con una determinazione nella voce che non prometteva nulla di buono.
- E va bene! Avete vinto voi, vi darò di più.-
- Quanto di più?-
- Due centesimi ogni tre metri di treccia.
- Per ora va bene. – risposero in coro rialzandosi .
L’Ombrone era un fiume capriccioso: spesso, con le grandi piogge, rompeva gli argini e allagava case e campagne.
Quando si prevedeva il pericolo c’era chi sparava colpi di fucile in aria per avvertire di mettere in salvo persone, animali e cose.
Gli androni e i locali a piano terreno di molte case erano sempre umidi e disadorni perché la fucilata riecheggiava spesso nella valle. C’era chi doveva vivere anche per giorni nelle stanze superiori delle case e venivano riforniti di acqua e pane da compaesani su barche a remi.
Fu proprio su una di queste barche che il giovane Armando porse il pane alla giovane Augusta affacciata alla finestra:- “Prendi,bella bruna – disse - e non creder di averlo per nulla, mi devi un bacio.”-
-“Grullo,- rispose lei- e che tu credi che i miei baci io li dia via per un pezzo di pane?”- disse severa mentre calava un cestino in cui Armando mise le pagnotte.
-Grazie- disse Augusta regalandogli un largo sorriso
Armando era un bel ragazzo dall’aria beffarda . – Codesto grazie non basta, mi devi un bacio, ricordatelo!”- e si allontanò.
Si avvicinò alla casa successiva e a lei parve di sentire Amina, sua coetanea, che rideva; anche lei calò dalla finestra il cesto e il bel giovanotto lo riempì di pane, poi, con grandi gesti si allontanò salutando entrambe.
Augusta e Armando si incontrarono casualmente e lui pretese il saldo del suo avere: il bacio.
Fu un bacio timido e ingenuo, ma da quel giorno si capì attraverso sguardi e sorrisi significatevi che c’era in crescita un sentimento amoroso.
Non era facile incontrarsi perché Armando lavorava nella bottega di calzolaio del padre a Poggio a Caiano, La sua era una famiglia benestante: erano fornitori della Real Casa: facevano e risuolavano scarpe e stivali per soldati, servitù, dame e cavalieri che frequentavano Villa Medicea
I due ragazzi escogitarono un sistema per dirsi “ti penso”. L’idea fu di Augusta: quando passavano davanti all’edicola della Madonna col Bambino, posta all’incrocio fra due strade, dovevano lasciare un sasso. Chi ne trovava due li toglieva e ne lasciava uno nuovo.
Il babbo di Armando, rimasto vedovo con tre figli piccoli, si risposò.
La matrigna, Nunzia, non amava Armando, a lui preferiva la sorella Medea e il fratello Enea perché avevano un carattere mite. Saputo del suo amore per Augusta volle conoscerla e la invitò più volte a casa. Finalmente Armando aveva conosciuto una brava ragazza così poteva toglierselo di torno.
Anche i genitori di Augusta avevano conosciuto Armando e lo accolsero come un figlio.
I fidanzatini si parlavano con gli occhi, c’era sempre qualcuno con loro, perché così volevano le convenzioni.
Un pomeriggio di fine inverno, Augusta fu invitata da a casa di Armando, come di consueto. Nunzia aveva un’aria strana parlavano del più e del meno e poi il discorso cadde sull’amore:
- Due giovani non hanno modo di conoscersi a fondo se non stanno un po’ da soli, se non si parlano in libertà, io non approvo questo costume che obbliga ad esser sempre in compagnia, prima del matrimonio.-
La ragazza non capì pienamente il discorso di Nunzia e, con sua meraviglia, la donna aggiunse, rivolgendosi al figlio:- Ho dimenticato di dare al tu babbo un biglietto, ora lo raggiungo e glielo porto.- così dicendo uscì dall’uscio richiudendolo alle sue spalle.
-Ora quel famoso bacio me lo dai! - Armando abbracciò la sua ragazza con impeto. Era dolce stringersi a lui, sentire il suo cuore pulsare, essere soffocata dai suoi baci.Augusta si abbandonò fra le braccia del suo amore sognato : Armando era bello, era forte, era virile.
La situazione si ripeté altre volte, Nunzia li lasciava soli, usciva con una scusa sempre diversa.
Un giorno, rientrando a casa Augusta trovò i genitori ad attenderla sull’uscio:Svergognata!- le disse Fortunata mollandole un ceffone.
Papà Alberto stava zitto e la guardava con gli occhi umidi di pianto.
- Svergognata, stavi in casa sola con lui e tutti a Carmignano. Seano, alla Furba e al Poggetto lo sanno. La tu bella socera lo va dicendo in giro e invita tutti a vedervi quando uscite di casa.-
Augusta fu colta da malore, non poteva credere alle parole della mamma, lei stava vivendo quella sua storia con tutto l’amore di cui era capace e non poteva credere che Nunzia fosse tanto malvagia da agire contro di lei.
I ragazzi non potevano incontrarsi, neppure se accompagnati.
A tutto c’è rimedio: papà Alberto, dopo aver parlato con il babbo di Armando, tornò da Poggio a Caiano sorridente.
Era una bella giornata d’inizio di primavera e il sole tiepido aveva richiamato sull’uscio delle case gli abitanti con la perenne paglia che le loro dita intrecciavano velocemente,
-E’ tutto a posto!- disse rivolgendosi alla moglie - pensano loro alla casa e alla bottega per Armando a Seano.-
Avevano trascorso giorni molto tristi: Augusta piangeva spesso e pensava ad Armando con amore e con rabbia, lui sapeva?
Le nozze? Tutta la vita con lui? Se da un lato la notizia la rendeva felice, dall’altro però sorgevano dei dubbi. Armando amava la compagnia degli amici con cui trascorreva le serate all’osteria del Bigio bevendo vino, amava giocare a carte ma amava veramente lei?
Dati i precedenti, il matrimonio fu celebrato in semplicità. I compaesani però affollarono la chiesa per il Rito Religioso, dimostrando agli sposi il loro affetto e questo rincuorò mamma Fortunata.
La nascita della Toschina fu una gioia per tutti. Era una bimba bellissima con la carnagione di porcellana.
Già dai primissimi anni dimostrò il suo carattere gioioso, espansivo e sorrideva sempre, tanto che tutti le volevano bene, specialmente il Nanni, l’omino dei dolciumi che la incitava a piangere così che gli altri bambini la imitassero.
Nada Reale
Gennaio 2011