Accendete la luce! -new
Milano, novembre 1944.
Matteo uscì, nella notte fredda e umida, dal caseggiato numero due di Via Polesine, al Corvetto. Non una luce sulla strada, i resti dei lampioni rotti ciondolavano tristemente. Non un’insegna dei negozi accesa. Non una finestra da cui filtrasse una pur piccola lama di luce a dare la certezza di presenze umane dietro lo finestre chiuse. Nell’aria c’era l’odore della morte, della distruzione, della disperata esistenza sotto i continui bombardamenti aerei.
Il giovane si diresse frettolosamente al suo appuntamento. Benché cercasse di essere il più silenzioso possibile, i ferretti ai tacchi e alle punte delle scarpe, si usavano per risparmiare il consumo delle suole, risuonavano sul selciato con un ritmo preciso e a colpi secchi: tic…toc…tic…toc…
Camminava tenendosi a ridosso dei muri delle case; teneva le mani affondate nelle tasche di un impermeabile smunto e logoro. Il bavero alzato gli copriva metà volto e l’altra metà era celata sotto la falda del cappello di feltro.
Se lo trovò di fronte all’improvviso: un tuffo al cuore, uno schianto nella testa, impugnava una grossa torcia elettrica e sul braccio aveva una fascia ben visibile con scritto “Capo caseggiato”
- E’ tardi, amico, che fai in giro? C’è il coprifuoco.-
- Lo so che è tardi, Capo, ma la mia mamma sta male…vado da lei, in Via Ravenna.-
- La mamma, eh? Vai…vai… Stai attento!-
Matteo si allontanò affrettando il passo, il suo cuore tremava. Forse quell’uomo aveva intuito. Forse sapeva…forse …forse… In preda alla paura non si curò più del rumore dei ferretti. Anche i passi dell’altro si allontanarono in senso opposto.
- Luce, spegnete la luce al secondo piano! – Gridò ad un tratto il capo caseggiato con quanta voce aveva e, al secondo piano una fessura della persiana venne subito tappata bene.
Tornò il silenzio, anche la luna era coperta da una fitta nebbia alta. Faceva freddo di quel freddo umido che l’autunno milanese regala con generosità e penetra fra le trame consunte dei vestiti logori, a ferire i corpi mal nutriti..
Lasciata la via Polesine, Matteo affrettò il passo : anche il piazzale Ferrara era deserto e buio, lo attraversò guardandosi le spalle. Imboccò la via Panigarola tenendosi sul lato sinistro. Da un portone uscì Tommaso; un’ombra amica.
- E’ da un po’ che ti aspetto,sei in ritardo. –
- Non per colpa mia, non per colpa mia. –
Proseguirono in silenzio avanzando l’uno davanti all’altro e prestissimo furono all’incrocio con via Dei Cinquecento. Lo superarono correndo e si tennero a ridosso del muro dell’Oratorio maschile. Dovevano affrettarsi perché sul marciapiede di fronte c’era il palazzetto della Gioventù Italiana del Littorio (GIL).
Proprio allora si aprì la porta della GIL e, illuminati da una larga fascia di luce, uscirono alcuni ragazzotti che ridevano rumorosamente. Indossavano la divisa della Muti.
Matteo e Tommaso, fortunatamente, raggiunsero gli sterpi della campagna che si apriva oltre il muro della Casa Parrocchiale.
In Italia altre cento, mille ombre come queste ogni notte furtivamente uscivano allo scoperto per poter organizzare la Resistenza, incuranti del pericolo, ma con il coraggio che dà il combattere per un ideale e, purtroppo, non tutti facevano ritorno.
Passò anche quell’inverno così rigido e ricco di angoscianti accadimenti e venne la Primavera 1945.
Una sera, quando nell’aria i profumi erano più intensi e il sole tramontato da poco tinteggiava di rosso le nuvolette,una voce gridò: - ACCENDETE LA LUCE !!!! –
Tutti noi di Via Polesine 2 scendemmo in cortile. I palazzi attorno formavano un anfiteatro ed io, girandomi, vedi ad una ad una tutte le finestre illuminarsi.
- Luce! Luce! – gridarono tutti – Accendete la luce! –
Abbagliata, non avevo conosciuto che il coprifuoco,
gridavo, saltavo, ridevo con gli altri bambini. Intuivo che la gioia collettiva era grande e la felicità di ognuno immensa. Gli adulti si abbracciavano fra loro, piangevano, urlavano in una prorompente atmosfera quasi isterica.
- Finita, la guerra è finita..- dicevano tutti in continuazione.
Da una finestra al primo piano uscì un’assordante musica
suonata da un disco su un grammofono a manovella. Quella gente in festa attorno a me cominciò a ballare: come in un rito tribale liberavano la loro anima dall’angosciante paura.
Suonarono anche le campane delle Chiese e tutto quel frastuono stordiva me bambina.
Qualcuno portò del vino e mi stupii nel vedere che anche mio padre beveva a garganella.
- E’ finita, è finita!- Gridava in continuazione.
Ma è veramente finita ? per un popolo che è in pace, un altro entra in guerra. Per un uomo sereno altri, forse troppi, sono alla disperazione.
Che cosa è la pace?
Lo chiedo a te, amico, ombra furtiva nelle notti dell’autunno 1944, proprio a te, amico che non hai fatto ritorno : che cosa è la pace? La non guerra? Esiste per l’uomo la non guerra?
Ognuno di noi ha in atto la sua guerra personale. Ognuno ha una battaglia da vincere. Ognuno può essere vinto e vincitore al tempo stesso.
- C’è la pace!- Gridavano in quel cortile della mia lontana infanzia. – C’è la pace! –
Che illusione….
Eppure “pace”non è una parola vuota. Sul vocabolario illustrato di Devoto e Oli si legge: “PACE… la situazione contraria allo stato di guerra, garantita dal rispetto dell’idea d’interdipendenza nei rapporti internazionali, o, più generalmente anche all’interno di uno stesso stato dal normale vantaggioso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale…..
Corrisponde a questa definizione la realtà in cui oggi vive il popolo italiano?
Vorrei tanto poter scendere nel cortile e Gridare a tutta voce come allora:
- ACCENDETE LA LUCE! –
Se non altro, salveremmo la speranza
Nada Reale